«È vero, l’intelligenza non ha sesso Ma in casa Fendi comandiamo noi»

«Qualcuno lo deve pur fare» ha detto Silvia Venturini Fendi accettando la presidenza di AltaRoma, una patata molto bollente per cui in questi giorni è nell'occhio del ciclone visto che da ieri fino al 14 luglio si svolge la prima kermesse dell'alta moda capitolina sotto la sua diretta responsabilità. Con un budget da un milione e mezzo di euro l'anno la signora deve ridare smalto a una manifestazione che nel fashion system internazionale al momento conta come il due a briscola: poco o niente. «Ce la farà» dicono in molti a cominciare dalla sua primogenita, Delfina Delettrez, bellissima fanciulla che ad appena 23 anni ha già una bambina - Emma, 4 anni - e una solida fama come creatrice di gioielli. «Buon sangue non mente» dice Silvia alludendo al fatto che lei giovanissima era già madre e impegnata nell'azienda di famiglia dove è entrata come ambasciatrice del marchio per poi lanciare la seconda linea Fendissime. Nel frattempo ha avuto altri due figli (Giulio Cesare oggi ventenne e Leonetta, 13 anni) ed è diventata direttore creativo degli accessori della maison accanto a Karl Lagerfeld che dal 1965 è lo stilista di Fendi.
Come sono i rapporti tra voi?
«Ottimi. Lo conosco da quando avevo 4 anni, siamo praticamente parenti. Possiamo dire che lui è il piatto forte mentre io sono l'antipasto».
È molto generosa a dirlo, visto che dagli accessori dipende il 60% del giro d'affari del marchio…
«Davvero? Io non mi occupo di cifre, sono preoccupata di fare bene il mio lavoro. Non è facile visto il cognome che porto. Mia nonna Adele che nel 1927 ha fondato l'azienda era ossessionata dalla qualità. Tutti i nostri prodotti devono essere e sono al di sopra di ogni sospetto dal punto di vista qualitativo».
È proprio sicura che a decretare il successo delle borse Fendi sia la qualità e lo stile che lei disegna?
«Prima di tutto io non disegno, ma parlo con le persone che lavorano con me. I miei schizzi fanno ridere e allora mi aiuto con la carta pressata che usiamo per fare i modelli. Comunque sì, sono sicura che la qualità sia alla base di tutto».
Quando nel 2004 il Gruppo Lvmh acquistò il controllo di Fendi per 900 milioni di dollari si disse che grazie alla borsa Baguette il valore del marchio era aumentato di 35 volte. È vero secondo lei?
«Francamente non lo so. Di sicuro quella borsa ha cambiato molte cose, soprattutto il modo di concepire gli accessori. Oggi sono un work in progress, qualcosa che comincia in un modo e magari finisce in un altro. Dietro ci deve essere un'idea forte su cui lavorare anche a livello di comunicazione. Prendiamo la Peekaboo, un’altra borsa che ha molto successo. Secondo me piace perché è più preziosa dentro che fuori, ha un che di intimo e segreto perfetto per i tempi che stiamo vivendo».
Perché quel nome, Peekaboo?
«Mi piace molto, è la versione inglese del “bubusette” che usiamo dire ai bambini. L’eleganza secondo me deve sempre suscitare un sorriso».
Lei è la terza generazione di donne alla guida dell’azienda. Se nasce un maschio in casa Fendi vi disperate?
«Ma no, anzi. Certo la nostra è una famiglia matrilineare e io sono convinta che nelle donne ci sia un pizzico di coraggio creativo in più. Detto questo penso anche che il cervello non abbia sesso».
Sua figlia Delfina ha già dato prova di essere una brava designer, non ha mai pensato di lanciare con lei i gioielli Fendi?
«Delfina sta facendo il suo percorso di cui sono molto fiera.

Quanto ai gioielli noi abbiamo appena lanciato Crazy Carats, un orologio a cui si possono cambiare le pietre preziose dell'indice orario con un semplice movimento della seconda corona, un meccanismo brevettato rivoluzionario. Nello spirito Fendi».

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