Esce in Italia il libro di racconti Aldilà (De Piante, pagg. 196, euro 20, traduzione di Diana Mazon) dello scrittore uruguaiano, naturalizzato argentino, Horacio Quiroga (1878-1937), il maggior rappresentante della letteratura rioplatense che in alcune narrazioni sembra anticipare il mondo fantastico del romanzo latinoamericano degli Anni '60. Le storie illustrate dal nostro autore sono per lo più ambientate nella foresta amazzonica dove il protagonista è la selva con i fiumi, gli alberi e gli animali, personificazioni di forze della natura e specchio di contrastanti passioni umane. Motivi che rispondono a un contesto meno affabulatorio del mondo descritto dal boom della narrativa ispano-americana, ma analogo è il territorio di incubazione che alimenta il substrato magico a cui attinge di continuo l'autore.
Quiroga è uno scrittore di frontiera e i suoi racconti sono storie anomale di follia e morte, nate in un territorio che vede la civiltà lottare contro la barbarie. Ma se è vero che l'autore sceglie situazioni estreme di vita e condotta umana, allontanandosi dal romanzo realistico o psicologico del primo Novecento, la sua scrittura appare chiara e moderna e sulla quale lo stesso Quiroga ha teorizzato in un articolo in cui sostiene l'importanza dell'economia espressiva e la concentrazione strutturale del testo, convinto che la sua prosa predilige situazioni di vita anomala, soprattutto nell'ambito di una natura selvaggia che domina incontrastata su tutto.
Parliamo di libri come Cuentos de la selva, Anaconda, El desierto, Los desterrados, ambientati nella selva Misiones, situata tra Argentina, Brasile e Paraguay, dove lo scrittore va a vivere per molti anni, sebbene sia anche attratto dalla città moderna e da giovane abbia visitato Parigi.
Egli ama il mondo immerso in una vegetazione tropicale e una cultura estranea all'uomo bianco: uno spazio nuovo, caratterizzato da violenze e tragedie che portano il filo del racconto all'estremo della narrazione, dove l'autore presenta motivi e personaggi che ricordano le trame poliziesche di Edgar Allan Poe e Guy de Maupassant. Un giornalista del New York Times ha anche parlato di Quiroga come «l'erede letterario di Kipling e di Jack London».
La sua modernità consiste nell'immaginario di un mondo inquietante, il cui stretto legame con la morte apre sovente la porta all'ingresso dell'inverosimile, riempiendo il nulla di una possibile continuazione, nata dall'incapacità dell'io di vivere e comprendere il quotidiano. Ciò è dovuto all'eccessiva vicinanza dello scrittore al dato oggettivo, il cui contatto crea un varco all'immaginazione.
Simile lettura, non esplicita nei racconti di Quiroga, è presente quando l'autore rompe ogni schema, rifiuta ogni dialettica e guarda al mondo della natura come a qualcosa di insolito e conturbante. Tale atteggiamento non è voluto né predeterminato, ma è presente quando il racconto si eleva a motivo paradigmatico o riflette una manifestazione oscura, difficile da comprendere e catalogare. Come ha scritto l'autore nel Manuale del perfetto scrittore di racconti (1925), importa l'assoluta autonomia della storia da vivere per sé stessa e per chi la legge. Al viscerale realismo del racconto tradizionale dell'epoca Quiroga aggiunge qui sta la novità una zona ambigua di vita e conoscenza, che egli intuisce e lascia scoprire al lettore. Numerose sono inoltre le trame in cui aleggia la presenza della morte che circonda la vita del nostro autore, costellata di decessi violenti (quello del patrigno, l'amico ucciso dall'autore in modo accidentale, il suicidio della prima moglie e della figlia e, infine, dello stesso Quiroga che, gravemente malato, prende il cianuro).
Aldilà, uscito nel 1935, riunisce 11 racconti ed è sufficiente conoscere la prima storia che dà titolo al libro, per trovare un tema che torna con infinite varianti in altre pagine della raccolta: la storia di una giovane che sceglie di morire per poter vivere pienamente l'amore con il fidanzato, a cui il padre si oppone rifiutando la relazione. La ragazza racconta in prima persona (scelta ricorrente nella prosa di Quiroga che parte dall'interiorità dell'io narrante) e decide di prendere il veleno insieme all'amato per vivere felicemente con lui nell'altra vita.
Attraverso il racconto del soggetto, che non ha nome poiché potrebbe essere ciascuno di noi, lo scrittore conduce il lettore nel mondo dell'aldilà dove i due fidanzati si incontrano e osservano con distacco la costernazione della madre, il dolore degli amici e parenti, il viavai delle persone accorse, la presenza della polizia e i cadaveri dei loro corpi nelle bare. Solo ora possono finalmente abbracciarsi e amarsi, liberi di farlo ogni volta che lo desiderano durante tre lunghi mesi, finché la morte non torna a presentarsi, annullando l'illusione di un idillio vissuto oltre il tempo e contro ogni ostacolo.
Quiroga è un autore che supera il racconto realista dell'epoca e non a caso ha ricevuto una particolare attenzione da parte dello scrittore Julio Cortázar, mentre Borges ha espresso le sue riserve poiché, ha scritto, non lo emoziona la lettura della sua opera.
In realtà, in una conversazione personale avuta con l'autore dell'Aleph, in cui abbiamo passato in rassegna vari scrittori latinoamericani, tra cui Neruda e Quiroga, sul primo ha confessato che negli ultimi anni di vita il poeta cileno l'aveva invitato nella sua casa di Isla Negra, «ma a me aggiunse con ironia non piace il mare, figuriamoci l'oscuro e terribile oceano dove Pablo si è rifugiato».
In quanto a Quiroga dichiarò di conoscerlo e aver letto tutta l'opera, ma la sua importanza consisteva soprattutto «in quello che l'autore non dice o non sa dire ma lascia intendere». Che è quanto i racconti dell'Aldilà confermano: storie di vita e di morte che aprono nuovi spazi in cui è possibile scoprire e ritrovare una parte sconosciuta di noi stessi.
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