Se il potere è lontano sale l'astensionismo

Riflessioni sull'astensionismo elettorale: perché e come il fenomeno riguarda l'Europa

Se il potere è lontano sale l'astensionismo
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Gentile Feltri,
da settimane ormai non si fa altro che discutere del fenomeno dell'astensionismo, che non riguarda solo l'Italia ma l'Europa intera. C'è chi dice che sia un sintomo del malessere della democrazia e c'è chi dice che sia sintomo invece di benessere. Qual è la verità? E come possiamo risolvere il problema, dal suo punto di vista? Io ho sempre esercitato il mio diritto di voto, da oltre cinquant'anni, e mai potrei rinunciarvi. Quindi non comprendo la gente che non si reca alle urne.
Matteo Costantini

Caro Matteo,
è un periodo di grande fermento sul fronte elettorale: si vota in diversi Stati, in alcuni Paesi il voto è anticipato, come in Francia e nel Regno Unito, e ogni dì, come hai notato, si dibatte di questo astensionismo generalizzato. In effetti, alcuni politologi sostengono che dell'astensionismo non dovremmo preoccuparci in quanto esso sarebbe il segnale che la democrazia è sana, non avvertendo i cittadini l'esigenza di correre alle urne, non appena ne hanno l'occasione, per esprimere le loro preferenze, insomma come se lo status quo andasse loro bene e non sentissero l'urgenza di modificare qualcosa. Altri studiosi, invece, la pensano in maniera diametralmente opposta, ovvero ritengono che gli elettori non votino non perché siano soddisfatti, bensì perché sono talmente insoddisfatti e disillusi da credere che, quantunque votassero, quel voto non cambierebbe nulla, sarebbe uno sforzo inutile, un gesto vano, allora tanto vale per loro starsene a casa e lasciare ad altri la responsabilità di una scelta che immaginano, a torto, non li riguardi.

Io propendo più per questa seconda teoria e credo davvero che la democrazia versi in una sorta di acuto stato di crisi. Di recente, ossia all'indomani delle votazioni per il rinnovo del Parlamento europeo, ci siamo accorti che l'astensione non riguarda soltanto l'Italia ma anche altri Paesi fondatori dell'Unione Europea, democrazie solide nel nostro immaginario, ma che pure scricchiolano, soffrono, sono doloranti. È un fatto, mio caro, che quasi il 50 per cento degli europei ha fatto a meno di esprimersi mediante il voto, si tratta di un cittadino su due. Sebbene questo non infici la legittimità delle elezioni e del risultato elettorale, è evidente che non siamo davanti a un dato di cui gioire. Piuttosto dobbiamo interrogarci sulle cause e pure sulle soluzioni, come fai giustamente tu.

Tenendo conto non solo delle elezioni europee ma anche di quelle regionali, penso che l'elemento più rilevante sia costituito dalla circostanza che più è vicino, o avvertito come vicino, il centro di potere su cui si è chiamati a decidere, maggiore diventa l'affluenza, la quale, di contro, si riduce allorquando il popolo è convocato a scegliere su istituzioni avvertite come lontane, il cui impatto è considerato nullo sulla esistenza del cittadino. Le istituzioni europee, appunto, sono percepite come distanti dai popoli delle Nazioni che compongono l'Unione medesima. E questo è indicatore di crisi degli istituti tipici della democrazia, nonché di una grave crisi di fiducia. Possiamo reputare la politica non responsabile di tale stato di cose? Ovviamente no. Della bassa affluenza la classe politica è assolutamente responsabile, una classe politica peraltro a cui non interessa in fondo recuperare l'elettorato se non selettivamente, ossia attraendo quella parte che vota a favore della propria corrente. Facendo un ragionamento più terra terra, potremmo dire che ad astenersi sono soprattutto gli elettori che prima votavano a sinistra. Forse sono proprio loro i più delusi. E perché? Perché ovunque i partiti di sinistra, anziché presentare programmi convincenti, hanno cercato di insinuare la paura, quindi di gestire lo stato emotivo dell'elettorato, chiamato a votare a sinistra non per la validità degli obiettivi politici (assenti) bensì allo scopo di evitare il presunto avvento del fascismo. Una strategia consumata, che non funziona più. Non si può pretendere di essere legittimati ad amministrare la cosa pubblica semplicemente per escludere qualcuno, gli avversari. È indispensabile proporsi di realizzare qualcosa.

Da qui l'apatia, il disimpegno, il disinteresse. Da qui la sfiducia. Da qui la crisi della democrazia, l'astensionismo. Come curare e guarire questa frattura? Innanzitutto abbandonando la tendenza a sfruttare l'emotività dell'elettorato, poi presentando programmi chiari, semplici, fattibili, poi agendo soprattutto a livello locale, dove c'è maggiore partecipazione.

Sono le istituzioni ed è la politica a doversi riavvicinare ai cittadini e non soltanto questi a doversi riavvicinare alle istituzioni e alla politica. Ecco, cominciamo ad adottare questa ottica, ormai trascurata. Quella di un passo l'uno verso l'altro.

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