"Un esecutivo tecnico all'italiana potrebbe funzionare. E in ogni caso l'Eliseo si abitui a un ruolo marginale"

Il docente di Storia contemporanea e gli scenari post voto: "Non sarà più il governo del presidente. Una coalizione è l'eventualità più probabile"

"Un esecutivo tecnico all'italiana potrebbe funzionare. E in ogni caso l'Eliseo si abitui a un ruolo marginale"
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Jean-Pierre Darnis, docente presso l'Université Côte d'Azur e alla Luiss, dove insegna Storia contemporanea, è convinto che Macron dovrà abituarsi a «interpretare un ruolo diverso». Comunque andrà domenica.

Professor Darnis, non è curioso che dopo la batosta il presidente scelga di stare alla finestra, silente?

«Finalmente fa una cosa che avrebbe dovuto fare da tempo, soprattutto nel secondo mandato. Gli hanno detto sei odiatissimo, cosa vera. Qualsiasi sua presa di parola crea diffidenza e nervosismo. Fa bene a lasciare il giovane Attal, che è anche bravo, a far campagna. Ma non significa che produca risultati».

Quale scenario prevede?

«Non più il governo del presidente, ma coabitazione. O con la destra-destra o con un governo di scopo, repubblicano di unità nazionale, che comunque non sarebbe il suo. Macron si è defilato, i francesi non ce la facevano più della sua presa di parola ogni due giorni».

Coabitazione difficile con Bardella, ma possibile?

«Bisognerà vedere cosa succederà nei Consigli europei e nelle azioni ministeriali, è lì il terreno scosceso che potrebbe creare un blocco in Francia. Ma Le Pen sente vicine e a portata di elettorato le presidenziali e Bardella non può sminuire una funzione che lei ambisce a conquistare, sarà un gioco sottile. Se sarà premier, può essere che non si spinga oltre un certo limite per non togliere aspetti che Le Pen vuole per sé in futuro».

Si è detto intransigente sul programma...

«Se chiede di contrattare la sua partecipazione al budget europeo, apriti cielo, potrebbe aprire una crisi, bloccare qualcosa sul piano Ue. Ma ha necessità di andare al potere con moderazione. Sedurre elettori ed eletti Républicains. Apparire campione della destra, contro l'ultrasinistra. Continua a dire che quel campo è di Mélenchon, cosa non vera, e che la gente deve arginare quel rischio. Ma quest'elettorato nuovo non si estremizza, considera che non c'è più l'offerta gollista, non è che gli piaccia sentire via gli islamici o frasi razziste e anti-europee».

È stato superato completamente il retaggio del Front National?

«Se Bardella non mette a tacere quei vecchi demoni, come ha fatto un po' Meloni in Italia, non riesce a conquistare il potere. È un'esigenza. L'allargamento dev'essere verso la destra classica che non voleva avere a che fare col vecchio Le Pen né con Marine. Certo a Bardella non si può dire hai combattuto per l'Algeria francese, non è collegato ai fondatori del Fn, né a collaborazionisti della peggior specie».

Chi vede in pole? Il tentativo di Attal di Assemblea plurale aprendo a sinistra o l'allargamento di Bardella?

«Rn primo partito, ma potrebbe non farcela ad avere neppure i 270 che Le Pen dichiara come obiettivo. Una decina di Républicains magari gli permettono di governare un po', altrimenti si va verso un governo tecnico, mai visto nella V Repubblica. Si guarda a esempi Italiani. Se c'è necessità, perché no, bisogna governare in qualche modo».

Meloni non è entrata nel governo Draghi. Bardella che farà?

«L'operazione di Macron, se non hanno la maggioranza, sarebbe di invitarli a consultazioni per un governo con dentro tutti. Si aspetta che il Rn rifiuti. Così può dire 'beh voi avete rifiutato...'. Ma per un partito così fresco c'è un minimo di rischio, nel farlo».

La

diga come programma può funzionare o rischia d'essere un boomerang?

«Nella sinistra polarizzata funzionerà, sui macroniani la metà potrebbe astenersi, l'altra metà è divisa: 40% a sinistra e 10% andrà verso il Rn».

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