La compassione, anzitutto. Perchè i numeri sono volti e famiglie che se la passano malissimo. I poveri assoluti, termine definitivo che non ammette repliche, sono un esercito senza fine, certificato dal fresco rapporto della Caritas, pari al 9,7% della popolazione. E i dati diventano ancora più sconfortanti e aspri se osserviamo che nel 2014 i poveri all'ultimo stadio riempivano uno spicchio molto più piccolo della penisola, ovvero il 6,9%.
C'è in fondo alla scala sociale una discesa inarrestabile e a tratti angosciante ma, comunque, qualcosa stride e va approfondito. Perché delle due l'una: o tutti i poveri non sono tali o i miliardi che vengono gettati nella fornace dell'assistenza (che comprende tante realtà) sono indirizzati male e in parte sprecati.
Parole eccessive? No, perché sono sempre le statistiche a parlare: nel 2008 la spesa assistenziale era pari a 73 miliardi, immessi nel grande calderone delle invalidità, degli assegni di accompagnamento, delle pensioni sociali, della tutela delle fasce deboli e degli ultimi.
Gli ultimi: 2 milioni e 110 mila poveri assoluti; nel 2009 avevano raggiunto quota 2 milioni e 310mila e nel 2010 erano arrivati a 2 milioni e 470mila a fronte di una spesa a sua volta incontenibile: 78 miliardi nel 2009, 82 nel 2010.
In questi quindici - sedici anni abbiamo assistito, fra l'altro in un Paese che non fa più figli, a una progressione impressionante di quelli che non ce la fanno ma anche dei contributi per sostenerli.
È un po' il gatto che si mangia la coda: certo, non sono stati anni facili. I guasti della globalizzazione, le guerre, la crisi economica, la famosa scomparsa del ceto medio e il lavoro povero.
Tutto vero. E però ci sono anche indicatori positivi, come quelli relativi negli ultimi tempi al record degli occupati.
Perdipiù con un lavoro a tempo indeterminato. Ma questo è solo un pezzo del puzzle: si potrebbe obiettare che molti restano fuori dalla ruota dell'occupazione che pure gira vorticosamente. Questo spiega qualcosa ma non chiarisce.
L'elemento più sconcertante è il gonfiarsi, peggio della rana della favola di Fedro, della spesa assistenziale senza che questo sforzo sia servito per alzare un argine contro il disastro. Complessivamente le cifre sono lievitate dai 73 miliardi del 2008 ai 157 del 2022 e ai 164 del 2023. Insomma, sono più che raddoppiate, ma la percezione che si ha in Italia è quella di un impoverimento e di un declino senza fine.
Possibile? Che fine fanno questi soldi? Certo, occorre conteggiare in questo insieme anche il reddito di cittadinanza e l'assegno unico universale per i figli, ma le domande restano senza risposta. Come vengono impiegati? E ancora, occorre porsi un quesito irriverente: sono davvero tutti poveri poveri? Una spia rossa si accende se ci concentriamo sugli assegni sociali: nel 2023 sono state presentate 91mila domande e va da se che gran parte di questi soggetti - almeno il 70-80 per cento - sono sconosciuti all'Inps. Non hanno mai versato i contributi e sbucano intorno ai 67 anni dal nulla. Vien da pensare che non tutti erano disperati ma i più trafficavano nell'ombra. Forse percepivano denari in nero, forse hanno accumulato tesoretti ben mimetizzati o, ipotesi sfortunata, nel corso degli anni sono scivolati nelle retrovie della società. E peró parliamo di 70-80 mila persone l'anno che tendono la mano dopo un'esistenza in cui erano sempre sfuggite ai radar dell'ente previdenziale.
Di nuovo, si resta sbalorditi davanti a queste clamorose scoperte. «La verità - spiega Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali - è che il nostro è l'unico Paese che non ha una banca dati per cui la mano sinistra non sa cosa fa la destra».
E intanto la spesa assistenziale ha quasi
raggiunto quella previdenziale: siamo appunto a 164 miliardi contro i 240 di quella previdenziale che però, depurata dell'Irpef, scende a 177,5 miliardi. Forse, è arrivato il momento di ripensare le politiche per gli ultimi.
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