nostro inviato a Bruxelles
Il problema doveva essere Raffaele Fitto e la sua carica di vicepresidente esecutivo della futura Commissione Ue. Perché l'italiano - esponente dei conservatori di Ecr - è l'unico dei sei vice che non aderisce a una famiglia politica che rientri nel perimetro della cosiddetta «maggioranza Ursula», quella che a luglio ha dato l'ok al bis di von der Leyen. Questione, come è noto, su cui da mesi i socialisti di S&D, i verdi dei Greens e i liberali di Renew (ma con molta più cautela, soprattutto dopo il colloquio di qualche giorno fa a Budapest tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron) puntano il dito.
Settimane e mesi, però, in politica possono diventare un'era geologica. Così, è finta che la partita sulle nomine dei sei vicepresidenti si è complicata non tanto per colpa di Fitto, ma per i guai casalinghi degli ultimi due leader socialisti che sono rimasti in Europa: il tedesco Olaf Scholz e lo spagnolo Pedro Sánchez. Il primo alle prese con le elezioni anticipate a febbraio, il secondo nel ciclone per la gestione dell'alluvione di Valencia. Con i Popolari - tedeschi e spagnoli, che a Bruxelles hanno un peso non indifferente - che sono sulle barricate e, di fatto, già in campagna elettorale.
Così, il paradigma si è ribaltato. Se prima i Socialisti chiedevano uno piccolo scalpo politico (possibilmente a favore di telecamere) per dare il via libera a Fitto e quindi a Ecr, ora è il corpaccione del Ppe (tedeschi e spagnoli contano 54 eurodeputati su 188, quasi un terzo del totale) a essere sulle barricate. In particolare contro la vicepresidenza esecutiva di Teresa Ribera, ministra della Transizione spagnola e nell'occhio del ciclone perché considerata (dal Partido popular e da Vox) tra i principali responsabili della drammatica alluvione di Valencia (nel mirino ci sono le sue politiche iper-green contro il dragaggio dei fiumi).
Insomma, muro contro muro. Che ha portato a un nulla di fatto nella riunione che si è tenuta ieri a Palazzo Berlaymont tra Ursula von der Leyen e i leader delle tre forze della maggioranza che la sostengono nella corsa al bis. Il leader dei Popolari Manfred Weber, la capogruppo dei Socialisti di S&D Iratxe Garcia Peres e la sua omologa dei liberali di Renew Valerie Hayer non sono infatti riusciti a trovare un punto di caduta per chiudere la partita dei sei vicepresidenti esecutivi della futura Commissione. Con Peres che uscendo dall'incontro ha affondato il colpo. «Il gruppo dei Socialisti - promette a chi la incrocia - voterà contro Fitto e contro il commissario ungherese Olivér Várhelyi». È la controffensiva di S&D per sostenere la sempre più traballante Ribera. Che - in un quadro che a Bruxelles cambia di ora in ora - a tarda sera vede come più gettonata l'ipotesi che la prossima settimana si possa abbandonare la logica a pacchetto dei sei vice-esecutivi per andare al voto a scrutino segreto e maggioranza semplice nelle singolo commissioni. Scenario in cui, però, Fitto dovrebbe passare agilmente (il capo delegazioni di Fdi-Ecr Carlo Fidanza non ha dubbi che sia 3-4 voti sopra la soglia minima dei 21), mentre Ribera rischierebbe di essere impallinata da un pezzo di Ppe. Una conclusione ragionevolmente improbabile. Perché se Meloni e Viktor Orbán sono pronti a paralizzare la Commissione in caso di bocciatura dei loro commissari, non si vede perché non dovrebbe fare lo stesso Sánchez.
Ecco perché a Bruxelles inizia a prendere piede l'ipotesi che l'insediamento della nuova Commissione possa slittare a gennaio 2025. Se non ci sarà l'ok ai commissari e ai sei vice esecutivi entro giovedì 21 novembre (il giorno dopo in cui Ribera riferirà su Valencia al Parlamento di Madrid), non ci saranno infatti neanche i tempi tecnici per il via libera dell'Eurocamera all'insediamento del von der Leyen bis dal primo dicembre. Si dovrà quindi slittare all'anno nuovo. Con le istituzioni europee congelate in mesi decisivi dal punto di vista degli equilibri geopolitici, a partire dal passaggio di consegne alla Casa Bianca tra Joe Biden e Donald Trump.
Per l'Europa sarebbe un strada davvero
improbabile e piena solo di controindicazioni. Ma, va detto, non sarebbe la prima volta che l'esecutivo Ue parte a rilento. Anche il bis (2004-2014) del due volte presidente della Commissione Ue José Barroso iniziò a febbraio 2010.
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