Legge elettorale, i paletti di Mattarella

Il capo dello Stato teme premi di maggioranza eccessivi: "No ai marchingegni"

Legge elettorale, i paletti di Mattarella
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Governare? Certo, quello «è un dovere», dice Sergio Mattarella, è una responsabilità difficile che ha bisogno degli strumenti giusti per conciliare il potere «con i diritti e le libertà». E quindi chi è a Palazzo Chigi deve poter fare delle scelte, decidere per il bene dei cittadini. Ma attenzione a non cadere poi «nell'assolutismo della maggioranza, perché non ci può essere un'autorità senza limiti e la democrazia non è violare le minoranze». Nel bel mezzo del dibattito sulle riforme, ecco i paletti del Quirinale. Con che cosa ce l'ha il presidente quando parla di «rispetto delle regole del gioco», con il premierato? O piuttosto, con le ipotesi della nuova legge elettorale? Se «il principio un uomo-un voto venisse distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori, la democrazia verrebbe depotenziata da tratti illiberali». No dunque a premi di coalizione eccessivi, visto anche l'astensionismo delle ultime tornate: la volontà degli italiani potrebbe risultarne forzata.

A Trieste, all'apertura della settimana sociale dei cattolici, Mattarella cita Bobbio e Rousseau e traccia il perimetro di uno Stato liberale. In questo cambiamento d'epoca, avverte, «avvertiamo la difficoltà, a volte persino un certo affanno, nel funzionamento delle democrazie». Problemi antichi e «criticità inedite» si sommano ai nuovi rischi epocali. Si tratta di materia da maneggiare con cura, salvando sempre le condizioni minime. E non è una conquista acquisita per sempre, ma un bene da rinnovare di continuo. «È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere».

Lo Stato non è quindi un'astronave di alieni. «Tutti devono partecipare alla vita delle istituzioni, come diceva don Milani. La Repubblica ha percorso molta strada, però bisogna ancora battersi contro gli analfabeti della democrazia». Perciò non ci può essere nessuna semplificazione, non si possono accettare «restrizioni in nome del dovere di governo: sarebbe una democrazia imperfetta, con una contraddizione e confusione tra i poteri dell'esecutivo e la tutela effettiva dei diritti». Nemmeno errori: una cosa è partecipare, un'altra parteggiare.

Insomma, «l'esercizio della democrazia non è un aspetto procedurale», ma sostanziale, e «non si consuma neppure soltanto con l'irrinunciabile espressione del suffragio nelle urne». C'è di più, secondo il presidente. «Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino perché inscindibili libertà individuali e aperture sociali dell'umanità condivisa».

E ripete il no all'assolutismo dello Stato, «a un'autorità senza limite e potenzialmente prevaricatrice». Conclusione: non si può fare quello che si vuole in nome della volontà popolare, «che in realtà è la volontà di una maggioranza».

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