Deve essere capitato qualcosa di strano dopo il lockdown, nella mente degli italiani. Qualcosa di imperscrutabile e masochistico, se è vero che al numero uno del palinsesto di Netflix risulta il film 365 giorni, decisamente il più brutto che mi sia capitato di recensire da quando esiste questa rubrica e forse anche da prima. Una produzione italo-polacca che vorrebbe inserirsi nel filone erotico post Cinquanta sfumature di grigio, ma, quel che è peggio, complica l'esibizione più o meno trattenuta di atti sessuali con una storia vagamente di suspense che al meglio di sé fa ridere.
La storia è già poco credibile: un giovane e aitante mafioso, ovviamente italiano, si innamora di una misteriosa ragazza dell'Est. La rapisce e, abituato a prendersi tutto ciò che vuole senza discutere, le concede un anno intero per innamorarsi di lui. Aria truce, vestito sempre di nero, molto somigliante a un noto paparazzo con problemi giudiziari o a un camorrista sfuggito per distrazione a ZeroZeroZero, Massimo (così si chiama) ha i suoi metodi che certo non faranno piacere alle sostenitrici del #metoo. Greve e animalesco, criminale senza scrupoli, scivola inevitabilmente nella trappola del sentimento nei confronti di Laura (la bella), vittima di una fin troppo letteraria sindrome di Stoccolma. Dopo un'ora di film, poco più della metà, lei gli concede le sue grazie. Finita? Neanche per sogno, ma non anticipiamo nulla per non penalizzare gli amanti dell'orrido, avvertendo però che di sesso se ne vede poco. Promette e non mantiene, insomma.
Alcune perle, tra dialoghi e ambientazioni, andrebbero riportate nei manuali su come (non) si fa cinema. Esterno notte, i due sono a una festa in Sicilia, mezzi nudi, bagno in piscina, evidentemente è estate. Poi raggiungono l'hotel di lusso dove il camino è acceso. Sarà scesa di colpo la temperatura. Altra sequenza, finalmente lei accetta l'invito a cena del boss, ma vorrebbe mangiare qualcosa di normale e semplice, i pirogi. I pirogi, con tutto il ben di Dio della cucina siciliana! Il commento è superfluo. E ancora, Laura non ha un abito lungo per una soirée e Massimo le recapita due stilisti gay che sembrano le zie di Cristiano Malgioglio.
I polacchi sono rappresentati come volgari e cafoni, gli italiani sono mafia e mozzarella. Gli uomini sono tutti stronzi e le donne tutte mignotte, complimenti. Segniamoci i loro nomi: Barbara Bialowas e Tomasz Mandes, registi del film; Blanka Lipinska, autrice del romanzo. Ripromettendoci di non guardare mai più un film né leggere un libro che porti il loro nome. Sperando che i 365 giorni siano sufficienti e non gli venga in mente alcun tipo di sequel.
Eppure agli italiani abbonati a Netflix piace, nonostante le stroncature unanimi. O forse proprio per questo. E allora c'è da chiedersi se le ragioni del successo stiano ancora una volta nella promessa di sesso bollente, visivamente deludente. Altro non si riesce a immaginare.
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