Abatantuono: "Mettiamo un lucchetto alla dispensa"

Abatantuono: "Mettiamo un lucchetto alla dispensa"

Milano - Bei tempi quelli in cui per sognare bastavano Robbie Keane o Javi Moreno. Oggi non basta Ronaldo per rendere eccezzziunale l’annata milanista e non basta un Fenomeno passato al nemico per far incacchiare - nel loro piccolo - gli interisti. L’approdo in via Turati del più amato brasiliano nella storia dell’Inter tiene banco, ma davvero lo scherzetto giocato dal Milan ai cugini è così terribile? «Noi facciamo sempre gli scherzi - sbuffa Diego Abatantuono, cresciuto a pane-e-Gianni Rivera sulla sponda rossonera del Naviglio -, ma quest’anno mi sembra che alla fine la dirigenza abbia poco da scherzare. Bisognava tirar fuori i soldini, ché portarseli nella tomba porta male!». Non è dunque Ronaldo il modo per recuperare i punti persi in campionato: «Non so se questo acquisto si rivelerà una mossa astuta: io avrei preso Oddo già a settembre e avrei puntato su Di Natale, che mi sembra perfetto per aprire gli spazi. Invece abbiamo preso Oliveira: buon giocatore, ma mi ha ricordato quando al ristorante guardo la carta dei vini e ordino la bottiglia che costa di più perché ne capisco poco e penso di bere il migliore. Ecco, nel calciomercato non sempre se spendi tanto prendi il più bravo». Già, ma ora è arrivato il Fenomeno, un Dom Perignon. Mica un lambrusco come Luther Blisset: «Guardi, io in casa ho messo i lucchetti al frigo e alla credenza per mettermi a dieta. Se a Milanello chiamano un buon ferramenta e si attrezzano così, allora siamo a posto, possiamo prendere pure Cassano e farli diventare dei figurini. Azzardo, potrei andare pure io al Milan a fare le cure dimagranti. Mi frena solo l’età...». Ha voglia di scherzare, Abatantuono. Anche se non passerà ore sotto la sede aspettando i dentoni di Ronaldo spuntare dalla nuova maglia milanista. Colpa dell’influenza, ma anche dell’entusiasmo un po’ sopito. Sempre vibrante, invece, la verve ironica nei confronti dei cugini, che «hanno una squadra fortissima, ma sono destinati a vincere un campionato di terremotati - sorride beffardo -. La loro sfida è la Champions: l’ultima l’hanno vinta quando gli arbitri portavano giacca, cravatta e baffoni a manubrio».

Non sono a manubrio, ma non gli impediscono di nascondercisi dietro sornione, i baffi di Michele Mozzati, di Gino & Michele. Lui, che per anni ha sopportato le battutacce del clan di Zelig sulla sua Inter, oggi vuole godersi il bel momento. E non permette neppure all’ingombrante sagoma di Ronaldo di rovinarlo: «Non ho nostalgia di lui, né tanto meno provo rancore», il suo commento. La serenità zen dei primi in classifica, certo. Ma anche qualcos’altro: «Dopo anni in cui Ronaldo non ha fatto che chiedere inutilmente di poter tornare all’Inter, semplicemente ha preso la sua decisione: finire la carriera nell’altra squadra di una città in cui si è trovato bene». Davvero tutto liscio? Neppure l’ombra di un rimpianto? «Beh, quando era all’Inter ha fatto vedere giocate inimitabili e ora potrebbe ripeterle, certo. Glielo auguro. Anzi, no: da interista gli auguro di non ripeterle». Un altro calcio, un altro Ronaldo. «Prendo atto che è un professionista, non una bandiera. Ma d’altronde i sentimenti nel calcio interessano ancora a pochi: a Moratti sicuramente. E anche a me». E a un sentimentale del pallone, il tiro mancino giocato dal Milan brucia fino a un certo punto, perché «con 30 punti di distacco, prendere Ronaldo non mi pare una grande rivincita».

Dunque tutto tranquillo, nessun problema nel perdere il derby con un suo gol, anche vincendo a maggio lo scudetto? «A questa domanda, da tifoso, posso permettermi di non rispondere», chiude Michele. Lo aveva detto che i sentimenti contano ancora, no?

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