Abbado e Pollini dominano Schumann e Mahler

Pietro Acquafredda

da Roma

Martedì sera la sala grande del nuovo Auditorium di Roma sembrava ancora più grande. Volte e pareti di ciliegio amplificavano e rimandavano da un capo all’altro applausi che mai s’erano uditi tanto convinti e interminabili misti alle grida di «bravo!», mentre dalle gallerie piovevano fiori sull’orchestra, alla fine del concerto. E Claudio Abbado che andava e veniva, insistentemente richiamato dalla folla.
Improvvisamente dal centro della sala è partito un minicorteo, in fondo c’era lui, il presidente Ciampi, che agli appuntamenti importanti all’Auditorium non manca mai. Va fin sotto il palco, Abbado scende la scaletta laterale, i due si abbracciano, e Ciampi ha il tempo di dire ad Abbado: «Mia moglie Franca ha pianto per la commozione!». Abbado risale il palcoscenico, torna fra i suoi amici orchestrali. E Ciampi, sotto il palcoscenico, va verso il centro per stringere la mano a Kolja Blacher, Konzertmeister e primo violino della Lucerna Festival Orchestra. Abbado esce ed entra e poi, per porre fine agli applausi, prende per il braccio Blacher e lo trascina fuori, seguito dall’orchestra.
Del trionfale prevedibile esito del concerto si poteva avere un preciso sentore prima ancora dell’inizio, vedendo che l’Auditorium andava riempiendosi in tutti i tremila posti e incrociando nel foyer i cartelli delle grandi occasioni: «Cerco biglietto».
C’era una strepitosa orchestra, sul podio uno dei massimi direttori viventi, Claudio Abbado, e al suo fianco il re dei pianisti e suo amico, Maurizio Pollini. E, come non bastasse già, un programma accattivante: Concerto in la minore per pianoforte e orchestra di Schumann e l'amatissimo Mahler, onnipresente (troppo!) nelle stagioni romane, con la mastodontica Settima sinfonia, nella cui immensità, convulsione, valanga di suoni, è riposta una delle ragioni della costituzione di un’orchestra di star chiamata a farsi onore.
Pollini ha attaccato lo Schumann con la foga di chi, sul punto di affrontare un’impresa non facile, vi si getta a capofitto nella speranza di vincere la paura; ha registrato le continue convulsioni del concerto e le ha rimandate all’orchestra e con essa ha perfettamente amalgamato il pianoforte. Concerto fuori dalle regole, non articolato sul duplice elemento della domanda e risposta che caratterizza gran parte del concertismo romantico.
Poi Mahler, la Settima sinfonia, più delle altre eccessiva, esagerata, ridondante. Abbado la domina e si abbandona a essa, non ne riduce la portata, ma ne asseconda il corso, lasciandosi quasi travolgere. Le oasi riposanti e tranquille, in questa sinfonia rappresentano un miraggio. E dopo l’ultimo titanico accordo, scende finalmente un senso di liberazione a lungo atteso e sospirato.


Il concerto è stato replicato ieri sera, ma preceduto dalla Suite da Prometeo di Luigi Nono, presente anche Renzo Piano che, per la prima veneziana del brano, negli anni Ottanta, aveva progettato la famosa arca di legno.

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