Addio Rava, l’ultima leggenda

Fedelissimo della Juventus, con cui vinse uno scudetto, compose con Olivieri e Foni un trio indimenticabile

Silvano Tauceri

Il calcio italiano, lo sport azzurro, piangono uno dei più grandi campioni: Pietro Rava è morto ieri a Torino, lo scorso 21 gennaio aveva compiuto 90 anni. Era l’ultimo superstite della nazionale che nel 1938 vinse il campionato mondiale in Francia, un successo che bissava quello di quattro anni prima ma assumeva un significato particolare per l’ostilità e i fischi, dovuti a ragioni politiche, del pubblico francese.
Era nato a Cassine, provincia di Alessandria, da ragazzo si trasferì a Torino dove suo padre ferroviere era capostazione. Come molti giovani appassionati di calcio aveva un solo amore, la Juventus. Con la maglia bianconera debuttò in serie A il 3 novembre 1935 contro la Fiorentina. Era la Juventus che aveva appena concluso il famoso quinquennio tricolore e si stava rinnovando. Avrebbe indossato quella maglia per altre 302 volte, conquistando lo scudetto 1949-50 e la coppa Italia 1938 e 1942. Il suo nome, il suo calcio atletico e deciso, la sua abilità nel gioco aereo e la potenza del suo sinistro che ne fecero uno dei migliori terzini sinistri dell’epoca resteranno legati soprattutto alla maglia azzurra. Da poco diplomato, venne convocato da Vittorio Pozzo nel 1936 per la nazionale studentesca che partecipava all’Olimpiade di Berlino. Si trovò a fianco di Alfredo Foni, una coppia perfetta nell’integrazione per la diversa concezione calcistica, la stampa lo definiva «lo spazzatutto» e l’altro era il fine tattico. Il debutto olimpico rischiò di compromettere la sua carriera, nella partita con gli Stati Uniti colpì con un pugno l’avversario Gajda e fu espulso (il primo «cartellino rosso» della storia azzurra). In nazionale raccolse l’eredità di Allemandi, e sempre con Alfredo Foni e il portiere Aldo Olivieri costituì un trio famoso quanto quello Combi-Rosetta-Caligaris, e protagonista del mondiale francese. Quella vittoria gli valse il premio di 8mila lire. Trenta partite in nazionale, una sola sconfitta il 12 novembre 1939 a Zurigo contro la Svizzera.
Nel 1946 passò all’Alessandria, l’avvocato Agnelli per quel temporaneo distacco gli aveva regalato un orologio d’oro, 38 partite e l’ultima con la nazionale. Pozzo per l’indisponibilità di Virginio Maroso avrebbe voluto convocarlo per la partita con l’Inghilterra in cui sarebbe stato il capitano, ma nell’epoca del grande Torino non si poteva fare torto a Valentino Mazzola. Al suo posto giocò Eliani, gli inglesi vinsero 4-0. Il ritorno al vecchio amore, finalmente lo scudetto 1949-50, la vittoria che mancava alla sua collezione: resta l’unico ad aver vinto tutto (non c’erano le coppe internazionali), campionato, coppa Italia, Olimpiade, Mondiale. Chiuse la carriera con 22 gettoni al Novara. Ha allenato poco, Monza, Carrarese, Palermo e Sampdoria.
Deciso, a volte irruento sul campo, era timido e riservato nella vita privata, trovando nella pesca il suo grande passatempo. Forse con il rammarico di essere stato talvolta dimenticato.


Un infarto, l’Alzheimer, il ricovero al «Martini» per l’ultima operazione al femore, il sorriso bonario quando gli dissero che Del Piero aveva segnato il gol numero 200 con la Juventus. «Con la scomparsa di Rava - ha commentato il commissario federcalcio Pancalli - se ne va l’ultimo protagonista di un calcio epico».

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