"Oltre ogni linea rossa". Israele ha già iniziato la rappresaglia

Raid di Tel Aviv contro Hezbollah in Libano. La diplomazia al lavoro per evitare l'escalation. Erdogan evoca l'invasione di Israele

"Oltre ogni linea rossa". Israele ha già iniziato la rappresaglia
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Il dubbio è solamente sulla dimensione della risposta israeliana all'attacco di Hezbollah. Ma la rappresaglia di Israele è già scattata dopo che dodici ragazzini fra i 10 e i 16 anni sono stati uccisi da un missile sabato, in un campo da calcio nella città a maggioranza drusa di Majdal Shams, in quelle Alture del Golan, al confine con il Libano, occupate da Israele nel '67 e annesse de facto nell'81. Secondo i media libanesi, l'esercito israeliano avrebbe già iniziato a colpire nel sud del Libano, alla periferia di almeno quattro città. Ma la decisione sulla portata della rappresaglia non è ancora chiara.

Il peggior attacco a Israele dal 7 ottobre ha costretto ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu al ritorno urgente dalla sua visita negli Stati Uniti e alla convocazione di un Gabinetto di guerra con i vertici militari e di intelligence, Shin Bet e Mossad, costringendo anche il capo del servizio segreto esterno, David Barnea, al rientro da Roma, dove proseguono i negoziati sulla guerra a Gaza con Usa, Qatar ed Egitto. La diplomazia è al lavoro per evitare un'escalation pericolosa, nel timore che nel mirino di Israele possano finire la capitale libanese, Beirut, e altri centri abitati. Francia, Norvegia e Belgio hanno chiesto ai loro concittadini di lasciare il Libano. L'Italia ha già invitato - e continua a farlo - a lasciare la regione. Per lo Stato ebraico, d'altronde, «Hezbollah ha superato tutte le linee rosse» massacrando 12 ragazzi, pianti ieri da una folla indignata ed esasperata ai funerali. I ministri israeliani sono stati contestati dalla comunità drusa, che non si è sentita abbastanza protetta. Serve un segnale forte. Anche se il gruppo armato libanese nega la paternità dell'azione accusando Israele dell'azione, anche se Beirut minimizza, sostenendo che non si sia trattato di un attacco intenzionale di Hezbollah e che serva un'indagine internazionale, Stati Uniti e Israele hanno pochi dubbi. Tutto indica «che il razzo sia di Hezbollah», secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken. «Si è trattato di un loro razzo, lanciato da un'area che controllano», insiste il Consiglio di sicurezza nazionale Usa, dopo che la Casa Bianca ha parlato di attacco «orribile». La pistola fumante sono i frammenti del missile, un Falaq-1 di fabbricazione iraniana, prova inequivocabile della regia di Teheran, legata a doppio filo con il movimento estremista libanese. «Hezbollah è l'unica organizzazione terroristica che ha quei missili nei suoi arsenali», ha spiegato il ministero degli Esteri israeliano. Il gruppo armato filo-iraniano «non la farà franca, pagherà un caro prezzo», hanno avvertito Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant, che ieri ha visitato il luogo della strage. «Colpiremo duramente», promette il capo di Stato maggiore Halevi.

C'è solo una «ultima chance per la diplomazia», se si vuole evitare «una guerra globale», secondo Israele. E passa per una condizione: Hezbollah deve attuare la risoluzione 1701 dell'Onu, che impone al gruppo di ritirarsi oltre il fiume Litani, a 30 chilometri dal confine tra Israele e Libano. È uno degli sbocchi possibili della crisi. Non a caso il Consiglio per la sicurezza nazionale americano ha fatto sapere che «gli Stati Uniti stanno lavorando a una soluzione diplomatica lungo la Linea Blu, che porrà fine a tutti gli attacchi una volta per tutte e consentirà ai cittadini su entrambi i lati del confine di tornare a casa in sicurezza».

Il mondo teme che, mentre si lavora per la fine del conflitto a Gaza, si apra un altro fronte di guerra. Proprio ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha lasciato intendere, in occasione di una convention del suo partito islamista AKP, che sarebbe determinato a invadere Israele per porre fine al conflitto palestinese se il suo Paese avesse una forza di armi sufficiente. Dal canto loro i drusi ora chiedono giustizia e hanno già minacciato di «aprire le porte dell'inferno» contro Hezbollah. Le Nazioni Unite condannano l'attacco: «I civili, e i bambini in particolare, non devono continuare a sopportare il peso dell'orribile violenza nella regione», dice il segretario generale Antonio Guterres.

«Va evitata assolutamente una escalation», spiega il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani che spiega come, insieme al ministro della Difesa Guido Crosetto, le nostre autorità stiano monitorando la situazione degli italiani nell'area, in contatto con ambasciatori e Unità di crisi, e abbiano aggiornato i piani per possibili evacuazioni. Andrea Tenenti, portavoce della missione Unifil in Libano, ha precisato che i militari italiani nella regione «continuano a pattugliare».

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