Due giorni di guerra nell’Afghanistan occidentale, con i nostri parà impegnati su più fronti in aspri combattimenti contro i talebani. Decine di fondamentalisti in armi uccisi e tre feriti fra i ragazzi della Folgore. «Ho visto il fumo nero che si alzava dagli obiettivi colpiti, le esplosioni di razzi Rpg e dei colpi di mortaio. Tre ore di fuoco ininterrotto contro duecento talebani, in mezzo a una valle fra alberi e campagne» racconta il maggiore Marco Amoriello portavoce del contingente italiano a Herat.
Mercoledì era in prima linea, a Bala Murghab, dove i paracadutisti con il basco amaranto si sono battuti come leoni al fianco dei soldati afghani. Ieri mattina i talebani sono tornati ad alzare la cresta, a 400 chilometri di distanza in linea d’aria, nella provincia di Farah. Un’imboscata a due pattuglie italiane del 187° reggimento paracadutisti, ognuna composta da una ventina di uomini.
Fra le 8 e le 9 afghane (11 italiane), quando le pattuglie si sono separate, è scattato l’attacco con una valanga di fuoco, per fortuna di armi leggere. Gli italiani hanno risposto al tiro, ma un parà sceso dal blindato Lince per reagire è stato colpito da un proiettile al piede. Un altro ragazzo della Folgore è rimasto ferito alla spalla e al braccio sinistro. Un paracadutista che sparava con la sua mitragliatrice pesante dalla botola sopra il blindato si è beccato un proiettile vicino alla clavicola, nella parte alta del petto. Le pattuglie si sono sganciate, gli elicotteri Usa della base di Farah hanno evacuato i feriti all’ospedale da campo americano. Anche il più grave, quello colpito vicino alla clavicola, è stato operato e non rischia la vita.
L’imboscata è avvenuta una quarantina di chilometri a nord di Farah, sulla famigerata statale 517. «L’autostrada per l’inferno», che porta alle roccaforti talebane di Shewan e Bala Baluk. Gli insorti aspettavano i soldati italiani al varco dopo il rastrellamento nella stessa zona scattata nella notte fra mercoledì e giovedì. «I nostri uomini sono incappati in un forte concentramento di insorti che hanno aperto il fuoco» spiega al Giornale il generale Marco Bertolini, capo di Stato maggiore della missione Nato in Afghanistan. I paracadutisti e le blindo corazzate Dardo del primo reggimento bersaglieri «hanno manovrato aggirando la minaccia sul fianco e fatto male a quelli che ci attaccavano».
Poche ore prima si era svolta un’altra battaglia durissima sul fronte nord dello schieramento nella vallata di Bala Murghab. Dal castello, una fortezza antica che domina la zona, il generale Rosario Castellano, comandante del settore ovest della Nato, ha assistito allo scontro. L’ennesima operazione dell’offensiva Toofan (tempesta) iniziata a metà maggio. Sul terreno sono stati impegnati circa 240 uomini fra militari afghani ed i paracadutisti del 183° Nembo, del 185° reggimento acquisizione obiettivi e i guastatori di Legnago. Di fronte oltre duecento talebani, che non volevano mollare. «Le nostre truppe sono state ingaggiate da un attacco meticoloso e preciso.
Il crepitare delle armi leggere e il rumore sordo di quelle pesanti echeggiava nella valle. I talebani sparavano ai parà, che li aggiravano sui fianchi» racconta Amoriello. Uno dei Lawrence d’Arabia italiano, che addestra i soldati afghani del 207° corpo d’armata, ha sentito il continuo ticchettare dei colpi di kalashnikov sulla corazza del mezzo. Per tre ore si combatte in mezzo alla vegetazione, a distanza ravvicinata, lanciando bombe a mano. «In appoggio sono arrivate due coppie di Mangusta, a ondate successive, che volteggiavano sulla valle» racconta Amoriello.
Gli elicotteri d’attacco hanno lanciato razzi e sparato con il micidiale cannone rotante sul muso. «Due Mangusta sono stati colpiti da armi leggere», mentre i parà del 185° dirigevano il tiro dei mortai di 120 millimetri dal fortino di Bala Murghab. «Sono stati eliminati diverse decine di insorti e due importanti capi talebani della zona», conferma Amoriello. Cinque afghani sono rimasti feriti, compreso un capitano che da una barella ha detto al generale Castellano: «I suoi paracadutisti stanno andando coraggiosamente all’assalto al fianco dei miei soldati».
La notte prima, quando erano già iniziate le scaramucce è accaduto un piccolo miracolo. «Un padre di famiglia afghano ha portato sua moglie con le doglie alla nostra base» racconta Amoriello.
La donna temeva di morire per il parto o nel fuoco incrociato della battaglia. Un medico italiano e una dottoressa americana l’hanno fatta partorire, mentre fischiavano le pallottole. La bambina è salva e si chiama Zimba.www.faustobiloslavo.com
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