Ahmadinejad sorprende tutti e scrive a Bush

Il capo degli 007 americani: «Teheran cerca di influenzare le Nazioni Unite»

Gian Micalessin

Un invito e una sedia per Mahmoud Ahmadinejad non li aveva preparati nessuno. Eppure, ieri sera a New York era come se ci fosse anche lui. Come se a quel tavolo, al fianco dei ministri degli Esteri di Londra, Parigi, Mosca e Pechino, si fosse accomodato anche il presidente iraniano.
Condoleezza Rice aveva organizzato la cena per metter con le spalle al muro Teheran, per cercar di far ingoiare a Mosca e Pechino l’ennesima bozza di risoluzione sul nucleare. Ma non fosse stato per lavoro e doveri d’ospitalità gli invitati avrebbero preferito chiacchierare della lettera di Ahmadinejad. Con quella misteriosa missiva indirizzata a George W. Bush, ma non ancora arrivata - a dar retta agli americani - sui tavoli dell’Ufficio Ovale, il presidente iraniano ha rubato la scena al segretario di Stato, spiazzato il Consiglio di Sicurezza e messo in imbarazzo la Casa Bianca. «Pur non avendo assolutamente visto quella lettera - chiosava John Negroponte, capo di tutti i servizi di sicurezza statunitensi - posso soltanto ipotizzare che punti a influenzare il dibattito davanti al Consiglio di Sicurezza».
Per capire se la mossa sortirà l’effetto desiderato basterà attendere l’imminente riunione al Palazzo di Vetro. Di certo il presidente iraniano e la sua corte dimostrano, una volta di più, di saper giocare d’anticipo e di prediligere gli effetti speciali. Mosse così Ahmadinejad non potrà, però, esibirne molte. Da 27 anni a questa parte nessun capo di Stato iraniano scriveva alla Casa Bianca. Dopo aver stupito il mondo Ahmadinejad deve non solo dimostrare di aver argomenti importanti da offrire, ma anche di aver effettivamente voglia di discutere. Se saprà farlo renderà ancora più difficile il cammino degli americani e dei loro alleati. Ma se dimostrerà di esser semplicemente ricorso al colpo di scena la sua reputazione e quella della Repubblica islamica precipiteranno ancora più in basso.
La notizia della lettera di Ahmadinejad a Bush viene diffusa durante una conferenza stampa convocata a Teheran quindici ore prima della cena di New York. Secondo il portavoce Gholam Hossen Elham la lettera è già stata consegnata dal ministro degli Esteri Manoucher Mottaki all’ambasciata svizzera responsabile dal 1979 degli interessi americani in Iran.
Nella lettera Ahmadinejad propone, stando al portavoce, «nuove soluzioni per risolvere i problemi internazionali e la delicata situazione mondiale». Alì Larijani, capo del consiglio di Sicurezza iraniano e responsabile dei negoziati sul nucleare aggiunge dalla Turchia che la mossa del presidente può portare a nuove aperture diplomatiche «anche se – ammette – ci vorrà un po’ di tempo». Teheran evita dunque qualsiasi collegamento diretto tra la lettera e la questione nucleare, tra l’uscita allo scoperto del presidente e le manovre in corso a New York dove Washington cerca di mettere in un angolo Russia e Cina, convincendoli ad appoggiare la bozza di risoluzione preparata da Londra e Parigi. Di fronte al rischio di una frettolosa capitolazione dei suoi due alleati il presidente iraniano cerca, secondo molti osservatori, di rilanciare proponendo un negoziato diretto con l’America. I portavoce di Teheran si guardano bene, ovviamente, dal sottoscrivere un’interpretazione così maliziosa. Per loro quel foglio firmato dal presidente non è una lettera aperta, ma «una semplice missiva» di cui non è importante, né necessario spiegare gli obiettivi. A far involontariamente capire il potenziale peso della mossa iraniana contribuisce da Washington il consigliere presidenziale per la sicurezza Stephen Hadley costretto a prender tempo negando di conoscere le proposte di Ahmadinejad. «Non ho visto nessuna lettera - dichiara Hadley - ma la comunità internazionale ha chiesto con molta chiarezza all’Iran di tornare alla sospensione di tutte le attività d’arricchimento dell’uranio per permettere una soluzione diplomatica della questione». Anche senza la discussa lettera le speranze di piegare le resistenze di Cina e Russia e arrivare ad una rapida approvazione della mozione non sembravano tuttavia incoraggianti. La bozza preparata da Parigi e Londra pur non parlando di sanzioni contiene un preciso riferimento all’articolo 7 della Carta dell’Onu. Proprio su quel riferimento ad un articolo in cui si cita il possibile uso della forza si concentravano, ieri sera, le obiezioni dei due «protettori» di Teheran.

Il viceministro degli Esteri russo Sergei Kislav dopo aver negato che il programma nucleare rappresenti una delle maggiori minacce alla sicurezza internazionali, come asserito nella mozione, ricordava la necessità di «cambiamenti fondamentali» prima della sua approvazione.

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