Come aiutare il nostro cuore

Come aiutare il nostro cuore

Le difficoltà economiche hanno colpito in modo diretto anche l'area della salute. Si assiste ad una contrazione delle risorse disponibili. Ne soffrono l'attività di ricerca ed anche le sperimentazioni sono in affanno. La prevenzione acquista ancor più importanza e l'utilizzo delle risorse va migliorato, tutti ne sono convinti.
Parliamo di questi temi con il dottor Antonio Sagone, responsabile del reparto di elettrofisiologia dell'ospedale Sacco di Milano. Una struttura con cinque specialisti, parte del dipartimento di cardiologia diretto dal professor Viecca. Un Centro di eccellenza dell'azienda ospedaliera - polo universitario milanese (direttore sanitario dottor Agnello) che si distingue, tra l'altro per il trattamento dell'infarto miocardico acuto attraverso l'angioplastica coronarica primaria, grazie ad un servizio di emodinamica attivo 24 ore su 24. Vengono eseguite 2mila procedure all'anno, 800 interventi di elettrofisiologia.
Sagone, nato a Milano nel 1965, dopo la specializzazione con il professor Guazzi, ha compiuto negli Stati Uniti, all'università di Yale, un lungo stage, alla fine degli anni Novanta per poi occuparsi all'Istituto Mario Negri degli studi Gissi che hanno rappresentato una pietra miliare nella cura dei cardiopatici.
«I primi pace maker - afferma Sagone - risalgono al 1965, da allora centinaia di migliaia di pazienti ne hanno beneficiato. Ogni anno solo in Italia ne vengono oggi installati 60mila. L'elevata quantità di impianti di pace-maker, ha portato negli anni a doversi confrontare con i rischi a lungo termine determinati da questa procedura. L'impianto di pace maker ha come scopo quello di vicariare il difetto di trasmissione elettrica nel cuore, difetto che può compromettere la vita di un paziente.Tale funzione viene esercitata dal pace maker, che contiene al suo interno un vero e proprio segnapassi intelligente e da uno o piu elettrocateteri che connettono il pace maker al tessuto cardiaco, passando attraverso i vasi venosi: vena succlavia e vena cava superiore. Tali elettrocateteri - precisa il dottor Sagone - possono andare incontro ad usura nel tempo, infezione attraverso delle vegetazioni che li aggrediscono, o infine essere malauguratamente oggetto di segnalazioni, cioè difetti veri e propri di fabbricazione. É nata quindi l'esigenza di doverli estrarre con relativo espianto del pace maker. Un tempo si ricorreva all'estrazione manuale, attraverso estrattori meccanici precisi ma molto cruenti (pericolo di perforazione dei vasi e del cuore), poi è giunta la metodica laser, attraverso il materiale fornito dai ricercatori di Spectranetics, una società innovativa statunitense, con sede a Colorado Spring, con oltre mille addetti, di cui cento ricercatori.Quest'ultima metodica (l'unica approvata negli Usa dalla Fda, è molto meno cruenta: si avvale di un estrattore telescopico che avvolge l'elettrocatetere e che lo scolla progressivamente utilizzando nella sua estremità energia laser».
L'elettrofisiologia dell'ospedale Sacco ha già portato a termine numerose procedure di estrazione, utilizzando con successo questa tecnologia laser che è ora impiegata in Italia nei più importanti centri di eccellenza, tra cui quelli di Brescia, Pavia, Bologna, Roma, Ancona, Palermo. Si stima che l'1,5 % degli impianti di pace maker presenti dei problemi: malfunzionamento, infezioni, necessità di upgrade.
La diffusione di questa metodica diventa sempre più pressante, anche a causa dei costi elevati del materiale, oltre che della formazione del personale.

La morte improvvisa, la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco sono considerate le epidemie del Terzo Millennio. Nel mondo sono 22 milioni le persone colpite ogni anno da queste patologie, solo negli Stati Uniti, sono 500mila i nuovi casi.

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