All’Onu la sorpresa americana

Documenti, risoluzioni, progetti, incontri: la diplomazia internazionale sbatte la testa contro una realtà micidiale, quella della volontà di Hamas di proseguire nella sua guerra, nella sua ragione di vita «anche in condizioni di tregua». Israele, peraltro, non intende continuare come negli ultimi otto anni, e senza garanzie non accetterà chiacchiere. «Tzi Filadelfi», il corridoio di Filadelfia, da cui le armi iraniane arrivano dall’Egitto, è il nome del gioco, e intanto l’Onu fa il suo mestiere, ovvero: nulla.
Condi Rice venerdì notte stava per votare la risoluzione dell’Onu palesemente sgradita a Israele insieme agli altri membri del Consiglio di Sicurezza. Da tempo il Segretario di Stato americano aveva il desiderio di mostrarsi dalla parte degli «underdog», di cancellare il gelo con gli amici europei. Poi Bush con una telefonata, si dice, l’ha fermata: al massimo ci possiamo astenere, ha detto, e così è avvenuto. È stato triste per Israele. Gli Usa, per la prima volta da molti anni, non hanno posto il veto a una di quelle tipiche risoluzioni sostenute da un lavoro di lobby gigantesco degli Stati Arabi e islamici in genere e da vari Paesi europei, attualmente dalla Francia e dall’Inghilterra. La risoluzione non menziona il diritto all’autodifesa di Israele, chiede alle parti di fermarsi, mettendo sullo stesso piano la difesa di un Paese democratico e l’attacco quasi decennale di un’organizzazione terrorista.
L’Onu ha scelto la strada più facile per affrontare una crisi difficile: non chiama Hamas per nome, crea confusione sulle responsabilità del conflitto, non affronta il problema che un cessate il fuoco senza condizioni rinnoverebbe la forza di fuoco di Hamas e la sua struttura di comando, che negli ultimi giorni si sono indebolite, tanto che di nuovo tre membri di Hamas sono al Cairo per decidere che fare. La risoluzione neppure chiama la comunità internazionale, specie l’Egitto, a fermare il flusso di armi per Hamas. Il nome di Gilad Shalit, il soldato rapito da quasi tre anni, non è neppure menzionato, non si parla degli scudi umani usati da Hamas. Insomma, l’Onu non si occupa di diritti umani, ma della propria immagine e dei propri equilibri interni, e lo fa promuovendo una realtà virtuale di cui Hamas non accoglie la proposta. Uccidere ebrei è la sua missione sociale: può decidere di fermarsi solo se obbligato. E Israele non può tornare allo status quo ante per motivi di sopravvivenza e perché deve rispondere agli 800mila cittadini ancora nei bunker di Sderot e Ashkelon. Israele è in un fase difficile della battaglia, con l’esercito turbato da una guerra dolorosa, e fermo nel profondo di Gaza. Ma la prospettiva appare più incerta da quando la proposta Mubarak-Sarkozy ha mostrato la sua falla centrale: l’Egitto non vuole lesioni della sua sovranità sullo Tzir Filadelfi, accetterà a Rafah solo ospiti tecnici e non una presenza militare intrusiva.
Ora il mondo intero cerca di promuovere una soluzione che darebbe nuova legittimità a Abu Mazen facendo dell’Autonomia Palestinese il partner per il controllo dei passaggi.

L’Egitto lo accetterebbe, perché eviterebbe di assumersi la responsabilità di Gaza; nello stesso tempo accettando un partner minore, ma coadiuvato dagli Usa con tutto il quartetto, salverebbe il suo potere sul confine e riaprirebbe la strada a Fatah a Gaza. Ma è tutto da vedere se Hamas accetterebbe l’odiato Fatah dalle sue parti. Dunque, tutte le soluzioni per ora sono virtuali, e tutti guardano a un miracolo egiziano, che l’Iran certo non desidera.

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