Allarme made in Italy: i cinesi ci «soffiano» il vetro di Murano

A Murano, il problema non è l'acqua alta. L'isola lagunare del vetro e del fuoco, custode di una tradizione artistica e plurisecolare che può esserci soltanto invidiata - o mal scimmiottata - rischia infatti di venire definitivamente sommersa da una marea che «vale», se si potesse parlare di valore, centinaia di miliardi di euro.
Più che una marea, è uno tsunami made in China, un’onda anomala e assassina fatta di brutte, anzi bruttissime copie di lampadari, vasi, specchiere, cavallucci e animaletti vari. Paccottiglia prodotta in centinaia di laboratori dove perdipiù, sull'altare del dio Pil, il sistema capital-comunistico di Pechino immola la salute di migliaia di lavoratori, molti dei quali bambini. Paccottiglia venduta ormai non solo in tutto il mondo, ma anche - continuiamo così, facciamoci del male - perfino nelle botteghe di Piazza San Marco e, quel che è peggio, perfino nei negozietti che ancora «galleggiano» a Murano.
Il quadro generale del distretto isolano parla di un disastro. Su 900 operai del vetro, 750 sono in cassa integrazione, con l'angoscioso spettacolo di maestri vetrai, gente che ha nelle mani e nel fiato i segreti di un'arte millenaria, invidiata nel mondo, costretti a svendersi nei cantieri edili come muratori, almeno per poter continuare a campare.
A raccontare queste cose, con la voce carica di rabbia sincera, ma anche con l'entusiasmo di chi sa, di chi ha le prove provate che questa situazione potrebbe essere invece capovolta - «basterebbe crederci e magari ci credesse un po' anche la politica, perché qui ci sono professionalità straordinarie e inespresse» - è Luigi Monti. Veloce nelle decisioni (da monzese non potrebbe non esserlo), classe 1970, dopo una brillante carriera manageriale in aziende di primissimo profilo (da Perfetti a Danone, da Ferrero a Fiat, «gestione Marchionne», tiene a precisare lui), Monti è da un anno imprenditore in prima persona. Rischia insomma di suo.
A Murano, appunto. Dove ha rilevato la Formia International, leader nella produzione artigianale di complementi d'arredo e di illuminazione con i marchi Formia Luxury Glass Murano e Vivarini. Quando l'ha presa, viaggiava al 35% delle possibilità ed era sull'orlo del fallimento o della vendita, come lo è del resto ora la maggioranza di tutte le aziende vetrarie isolane. La Formia aveva un centinaio di dipendenti, venti dei quali in cassa integrazione. Adesso anche loro sono rientrati in piena attività, i fatturati si sono moltiplicati e il bilancio ha smesso di segnare rosso. Perdipiù senza una sola ora di cassa integrazione.
Quello che emerge è un quadro in cui, alla quasi totale disattenzione delle istituzioni e della politica locale nei confronti di questa crisi - «forse è più proficuo e vantaggioso, in termini di voti, trasformare le fabbriche chiuse in immobili, magari in alberghi», argomenta Monti - si sono sovrapposte le carenze di cultura e metodi manageriali di una classe imprenditoriale diventata vecchia e senza ricambio generazionale. Un modo di procedere superato che ha lasciato sull'arte vetraria di Murano quasi una coltre di polvere. Proprio nel momento in cui si faceva viva, arrogante e minacciosa, la concorrenza dei cinesi.
Una sfida, la loro, che l'isola lagunare non ha retto. Sono entrati in serie difficoltà piccoli laboratori, ma hanno problemi anche nomi prestigiosi, da Murrina a Venini, da Moretti a Barovier e Toso, storicamente la settima più antica azienda del mondo. E dire che il caso dell'azienda rilevata da Monti dimostra invece come le situazioni si possano capovolgere. Lui ha imparato la lezione da Michele Ferrero, uno che ha trasformato una piccola pasticceria di provincia (35 metri quadrati) in una multinazionale da 7 miliardi di euro di fatturato. E da Sergio Marchionne, che gli ha insegnato a lavorare ogni giorno dalle 6 alle 24, ma lasciando sempre il telefono aperto per i collaboratori.
La sfida, per tutti gli altri, è comunque improba. Sfruttando condizioni di lavoro disumane, i cinesi sono capaci di produrre in un tempo che va dai 5 ai 7 secondi una tazzina che a Murano richiede a un maestro almeno 20 minuti. Con questi ritmi, ma certo senza nemmeno l'ombra della stessa qualità, la copia cinese di un lampadario in stile veneziano, quello che i muranesi non possono fabbricare e vendere a meno di 2.000 euro, ne costa appena 100. A una certa distanza, l'impatto estetico può essere abbastanza identico.

Ed è quindi chiaro, purtroppo, che chi ha un negozio a Venezia o addirittura proprio a Murano, e non ce la faccia più nemmeno a pagare l'affitto, finisca per comperare proprio quella robaccia lì, da 100 euro, rivendendola ai turisti a mille, ovvero alla metà del prezzo di mercato. Svendendo, è un paradosso, anche il lampadariaccio cinese. Ma è un circolo vizioso. Mortale, come stringersi da soli il cappio attorno al collo.

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