È stato in carcere che Amedy Coulibaly è venuto a contatto una decina di anni fa, allora poco più che ventenne, con esponenti del terrorismo jihadista, uno dei quali - teoricamente rinchiuso in isolamento - ha avuto un forte ascendente su di lui. Ed è stato nello stesso penitenziario, quello di Fleury-Merogis, alla periferia di Parigi, che un altro detenuto, Cherif Kouachi, ha conosciuto lo stesso jihadista.
Il carcere è uno dei principali luoghi di reclutamento di candidati alla jihad. L’allarme, legato al caso degli attentati in Francia, è al centro di un lungo articolo pubblicato oggi dal Financial Times, che illustra il ruolo che il periodo di detenzione ha avuto nell’avvicinare i terroristi che hanno agito tra il 7 ed il 9 gennaio a Parigi alla violenza religiosa estremista. Coulibaly è morto il 9 gennaio durante il blitz delle forze dell’ordine nel supermarket kosher di Parigi, dove teneva numerose persone in ostaggio, Kouachi - autore della strage nella sede di Charlie Hebdo - in quello lanciato in contemporanea nella tipografia di Dammartin-en-Goele. Il jihadista conosciuto dai due, di origine algerina, di 17 anni più grande di Coulibaly, era stato in Afghanistan dove raccontava di essere stato torturato. E Coulibaly, anni dopo, raccontò alla polizia durante un interrogatorio di aver continuato a frequentarlo dopo l’uscita dal carcere non per via della religione ma perché "colpito dall’esperienza umana" della persona. Si trattava di Djamel Beghal, incarcerato nel 2001 per aver complottato un attentato dinamitardo contro l’ambasciata americana a Parigi. "Beghal è stato il loro mentore, ha insegnato loro la religione e la jihad - spiega al Financial Times Jean-Charles Brisard, esperto di al Qaeda che svolge un ruolo di consulente per i governi in materia di antiterrorismo - il periodo trascorso in carcere è stato cruciale". Beghal, per il tramite del suo legale, ha negato ogni coinvolgimento negli attacchi di Parigi. Ma il ruolo avuto da uno dei più noti penitenziari della Francia, costruito per 2.855 detenuti e che ora ne ospita più di 4mila, ha alimentato i timori sulle prigioni nei Paesi europei, che rischiano di fungere da centri di reclutamento per gli islamisti violenti.
Per Missoum Chaoui, cappellano carcerario in Ile-de-France, il pericolo è l’assenza di un referente musulmano in un’istituzione che lascia aperta la strada agli "imam autoproclamati". L'islam diventa così un mezzo per porsi al centro di un universo carcerario in cui molti detenuti non hanno alcun riparo: "Si trovano in uno stato di debolezza e precarietà, hanno bisogno d’ascolto e di disciplina per non andare alla deriva". Nelle carceri francesi i musulmani rappresentano il 40% di una popolazione pari a 68mila persone. Quelli praticanti sono circa 18mila. Quelli ritenuti ad alta pericolosità sono 152. Sessanta di questi, secondo il ministero della Giustizia, "creano problemi di gestione" e sono in isolamento o in una cella singola, distribuiti in sette diverse prigioni.
Ventidue sono "refrattari a ogni relazione e con loro non è possibile alcun contatto". Questi ultimi sono raggruppati e isolati nel carcere di Fresnes. Un esperimento che, secondo il governo francese, avrebbe contribuito a far "cessare la pressione costante sugli altri detenuti musulmani".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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