Altro che Fallaci guerriera: era più civetta della Garbo

Daniela Di Pace e Riccardo Mazzoni furono vicini alla scrittrice malata. In un libro raccontano il fascino studiato dei suoi silenzi

Altro che Fallaci guerriera: era più civetta della Garbo

In ricordo di Oriana Fallaci, morta il 15 settembre 2006, è adesso uscito un libro firmato da Daniela Di Pace e da Riccardo Mazzoni. Con Oriana (Le Lettere, pagg. 164, euro 12.50) è il titolo del volume. Daniela Di Pace, diplomata in lingue estere, entrò nel 1998 a far parte del gruppo Rcs. Nel 2005 ebbe l’incarico d’assistente di Oriana Fallaci, massima stella del firmamento corrieristico. Fu assiduamente vicina a lei negli ultimi mesi di vita: quando il cancro, l’«alieno», già s’era impadronito del suo corpo, ma l’intrepida combattente ancora agiva, reagiva, all’occorrenza strepitava. Riccardo Mazzoni, già direttore del Giornale della Toscana e attualmente deputato del Pdl, fu l’ultimo giornalista italiano ad aver intervistato Oriana nel 2002, per Panorama.

Queste pagine non sono - non vogliono essere - una biografia della Fallaci. Sono testimonianze qualificate di chi ne condivise ore, giorni, mesi, pensieri, e standole accanto imparò non solo ad ammirarla, ma anche ad amarla. Nonostante tutto. Il bello di questi racconti e interventi è che, pur animati da una affezione e fedeltà a tutta prova per Oriana, non tentano di attenuare i risvolti urticanti del suo carattere. Oriana era così, e tutti sapevano come fosse, e tutti erano costretti ad ammettere la grandezza del suo talento, superata solo dalla grandezza del suo ego. L’immagine «fatale» di Oriana in copertina, con un grande cappello tipo corse di cavalli ad Ascot, occhiali scuri, e il fumo dell’ennesima immancabile sigaretta, mi riporta a una stupenda definizione che di lei viene data nel testo. Vi si scrive che Oriana Fallaci amava «gretagarbeggiare». Voleva cioè circondarsi di silenzio e di mistero per conseguire, come la «divina», il risultato d’una fama leggendaria. Sì, Oriana seppe costruire - fosse calcolo o istinto, o le due cose insieme - un grande personaggio della scena nazionale e internazionale. Aveva il dono di dare alle sue prese di posizione il tono e l’incisività della «crociata», e da ultimo fu, nei gridi d’allarme per l’avanzata dell’Islam e l’ignavia dell’Europa, una Cassandra indomabile.

Daniela Di Pace ha trascorso accanto alla guerriera un periodo di tempo limitato, il periodo della fine, ma le è bastato quel tempo non solo per amare Oriana, ma per annotare circostanze e ricordi di straordinaria suggestione: «Quando tutto finì, allora percepii per la prima volta uno strano vuoto, la sua mancanza si fece subito sentire in maniera acutissima, profonda, era quasi un dolore fisico». La Fallaci non buttava via niente, le sue case erano contenitori di memorie: familiari, professionali, sentimentali. In amore era irruente fino alla spericolatezza, come nei reportage. Si vociferò decenni or sono d’un suo tentativo di suicidio, per la rottura con un collega italiano. Il legame con il resistente greco Alekos Panagoulis è diventato libro e impegno politico, Oriana si scagliò contro i «colonnelli» di Atene e quando Alekos morì in un incidente automobilistico imputò loro la responsabilità d’averlo assassinato. I malevoli che non la potevano vedere - ce n’erano tanti - avanzarono, invece, l’ipotesi del suicidio: unica soluzione, secondo loro, per chi vivesse con Oriana. Proprio Daniela Di Pace osserva che «stare con lei una settimana non era facile, era praticamente impossibile sopportare i suoi malumori, i suoi tempi astrusi e i suoi ritmi pazzeschi».

Tra gli amori di Oriana, quello per François Pelou, corrispondente francese della France Press e uomo affascinante, fu senza dubbio il più forte e il più tormentato. Daniela Di Pace ne riferisce ampiamente. Pelou aveva sposato una nota attrice americana assieme alla quale aveva adottato un bambino. Il matrimonio non era stato felice, ma per il bene del figlio i due erano rimasti insieme. Un giorno nell’ufficio di Saigon della France Press, che Pelou dirigeva, irruppe Oriana. «Era appena arrivata - raccontò Pelou - nel giro di pochi secondi tornò immediatamente rinfrescata e con aria seducente, molto femminile. Oriana riusciva a stare in qualsiasi situazione, anche estrema, ma una cosa che non dimenticò mai, nonostante tutto, fu la sua femminilità. Era molto carina e lo sapeva». La relazione finì male, anni dopo. È sempre Pelou che racconta: «Oriana voleva sposarsi e avere dei figli con me ma io, pur dichiarandole la mia completa e totale dedizione, non potevo farlo. Quando ero corrispondente a Madrid la vidi arrivare un giorno più cupa del solito e con aria battagliera. Voleva che chiarissi in maniera definitiva la situazione con mia moglie, ma le dissi che per il momento non me la sentivo. Partì, la sentii il giorno dopo e mi disse che aveva spedito all’indirizzo di mia moglie tutte le lettere d’amore che le avevo scritto». Uno squarcio passionale in una vita che ha conosciuto successi e gratificazioni immensi, ma che è stata sempre sovrastata dall’ombra dell’infelicità. Il libro è pieno di passaggi interessanti. Monsignor Rino Fisichella spiega, o tenta di spiegare, perché non vi fosse incoerenza nell’affermazione della Fallaci di essere atea-cristiana. «Lei diceva: sì sono atea e non ci provino neppure a convertirmi (e il riferimento era sicuramente nei miei confronti), però in ogni caso sono cristiana. Oriana Fallaci direi che fino alla fine ha avuto il desiderio di Dio, anche se non è stata in grado di poterlo abbracciare fino in fondo».

Povera solitaria, intrattabile Oriana, che tra i congiunti ha privilegiato il nipote Edoardo Perazzi, designandolo come erede. E Perazzi l’ha ricordata così: «Con lei eravamo tutti costantemente sotto esame. Non era facile accontentarla.

Un attimo eri sulla breccia, e il momento dopo venivi buttato via come uno straccio, poi ti ripigliava dopo un mese, dopo una settimana o dopo un’ora ma dovevi stare sempre sul chi vive, non potevi essere mai rilassato». Così era Oriana, inarrivabile e insopportabile. Voleva ribellarsi anche all’«alieno», ma quella fu, dopo tante vinte, una battaglia persa.

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