«Altro che Veline, ci provo col Gabibbo Ma se mi dice di sì?»

Caro Ezio Greggio, cosa ci fa a Montecarlo?
«Un festival del cinema, che, se permettete, in dieci anni è diventato un piccolo capolavoro».
Tutto è cominciato dunque in quel 2001 funesto?
«Sì, subito dopo la tragedia mondiale che stava cambiando il mondo, abbiamo fatto nascere questa rassegna della speranza e dell’ottimismo. E oggi posso dire che abbiamo avuto ragione».
Un altro festival, ma non ce se sono troppi?
«Credo di no, il cinema ha bisogno di vetrine».
E il vostro com’è, piccolo, medio o grande?
«Medio con aspirazioni da grande. Anche perché è l’unico al mondo dedicato alla commedia».
Commedia che però è ancora considerata la parente povera del film d’autore...
«Non più. Fino a poco tempo fa quando presentavi una commedia, che so a Venezia o a Cannes, ti venivano davanti col crocifisso, ora il vento sta girando. Anche per colpa mia e del principe Alberto di Monaco che abbiamo partorito questa creatura».
Però i critici se hanno abbassato il crocifisso spesso mantengono la puzzetta...
«E fanno male. La commedia italiana ci ha dato grandi soddisfazioni. Basta pensare ai film di Monicelli, nostro padre putativo. Lui è la dimostrazione vivente che si possono raccontare storie anche drammatiche in modo divertente».
Ma come mai si è tuffato in questa avventura temeraria?
«Ho fiutato l’aria buona di Montecarlo, trovando l’appoggio immediato del governo monegasco. Così abbiamo fondato “Il Welcome Travel Team”, un’instancabile macchina di eventi di ogni genere».
Come funziona il suo festival?
«C’è una prima selezione di ottanta film, opere prime anche a basso costo, perfino sotto i centomila dollari, provenienti da tutto il mondo, nessun continente escluso. Poi scegliamo sei, sette, otto film che partecipano al concorso».
I giornali non vi danno tanto spazio...
«Vero, non siamo ancora presi in grande considerazione, forse perché non siamo politicizzati. Ma io non voglio legarmi a certi giochi. Siamo solo persone di buona volontà senza lobby».
Eppure anche quest’anno avete superospiti che i grandi festival se li sognano...
«Sì, non siamo messi male. Tra gli italiani la mitica Lollo, Enrico Vanzina, Claudio Bisio, Gigi Proietti, cui daremo un premio speciale, come a Claude Lelouch. Poi ci sarà Aldo Maccione, un po’ dimenticato in Italia, ma che in Francia è una leggenda. E ancora Michelle Mercier, che non appariva da una vita e l’immenso John Landis. E non finisce qui».
Lei ha fatto il regista, poi hai smesso presto...
«Ho interrotto, non smesso, è un lavoro faticoso. Per il momento la regia preferisco che tocchi ad altri. Ma lo rifarò presto, sperando non sia una minaccia».
Cosa bolle nel pentolone di Greggio?
«Un film per il cinema, una fiction e altro ancora, compresa una cosa con Iacchetti, che potrebbe trasformarsi nel numero zero di una serie».
Tra tanti film interpretati ce n’è uno solo per così dire serio, con grande successo personale bisogna aggiungere...
«Grazie. Con il Papà di Giovanna ho vinto diversi premi».
Le manca Pupi Avati?
«Altroché. Infatti pensiamo di lavorare ancora insieme. Ma sa che con Pupi non è mica facile. Non sto parlando di talento, per carità. È un uomo di un’ironia e un umorismo insospettabili, capace di farti ridere come un matto, magari appena prima di una scena drammatica. E poi uno come fa a tornare serio? Per informazioni rivolgersi a Silvio Orlando».
Perché intanto non convince Ricci a scriverle un film?
«Antonio è una bestia da tv, meglio della Philips e della Sony. Non ha tempo né voglia di cinema. Ne riparleremo forse quando andrà in pensione verso i 98 o 102 anni».
Anche lei non è più ragazzino...
«Sì, ma non parliamo d’età, se no le mie fans...».
È vero che è anche giornalista?
«Sì iscritto da una vita come pubblicista alla stampa subalpina di Torino».
E non non hai mai pensato a un giornale satirico sullo stile di Striscia?
«No, c’è già un altro Greggio, Max, che fa il Vernacoliere».
Siete parenti?
«No, anche se tutte e due veniamo dall’area padovana. Ma ci somigliamo come una goccia d’acqua e una di grappa».
Si guadagna di più con i libri, lei ne ha scritti cinque, col cinema o con la tv?
«In popolarità con la tv. Però con i proventi dei libri e con l’appoggio dell’Associazione magistrati siamo riusciti ad aiutare settanta ospedali. Con le nuove apparecchiature, specialmente incubatrici, ogni anno salviamo cinque o seicento bambini».
Lei fa beneficenza in silenzio, come due grandi, Totò e Sordi...
«Qualche volta viene fuori, ma è un impegno che ho preso con me stesso. Ricevere certe lettere di ringraziamento dei genitori è meglio che vincere un Telegatto.

Ma sa che a Olbia fino a poco tempo fa i nenoati prematuri li trasportavano all’ospedale di Alghero avvolti nella stagnola?».
Con le veline ci hai mai provato, come ha fatto con successo Iacchetti?
«No, nonostante le mie doti fisiche. Al massimo potrei tentare col Gabibbo, ma se poi mi dice di sì?».

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