«È un amarcord brigatista La pellicola è da ritirare»

Ho disposto che non sia dato alcun aiuto a film su questo tema senza il consenso di chi ha perso i propri cari. Quel che è accaduto non si ripeterà

da Roma

Ministro, come spiega la sua protesta, alla vigilia della proiezione al festival?
«In maniera molto semplice. Ho visto il film solo ieri, perché mi è stato segnalato dal signor Berardi, parente di una vittima delle Br».
Una visione d’urgenza?
«Sì, perché Berardi mi era parso molto amareggiato. Sostiene, da anni, che il cinema italiano parte sempre dal punto di vista dei ex terroristi».
E lei?
«Mi sono letteralmente precipitato a controllare, negli incartamenti della ministero, le schede in base al quale il progetto era stato approvato».
E cosa ha scoperto?
«Si parlava di un documentario. Nulla lasciava presagire quello che avrei visto poi».
Cosa l’ha colpita di più?
«In tutta la pellicola si offre agli spettatori un solo e unico punto vista: quello degli ex terroristi. Anzi, peggio...».
Cosa?
«Dal punto di vista del contesto, ho notato subito, e l’ho trovato sgradevole, un senso di amarcord... brigatista».
Ovvero?
«I protagonisti rievocavano le loro gesta quasi con nostalgia. Con una memoria spensierata, scevra da alcun senso di pentimento».
E lei?
«Mi sono vergognato di quello che era accaduto, agli occhi di Berardi e non solo: anche se non avevo nessuna responsabilità, diretta o indiretta, visto che il progetto era stato approvato quando io non ero ancora in carica».
In ogni caso un ministro non giudica sui copioni.
«Visto che appare il patrocinio del ministero, io credo che sia un nostro dovere rispondere dei prodotti che vengono finanziati».
Fasanella dice: non spetta a un ministro decidere quel che si fa o che non si fa.
«Lo dice lui. Io invece ritengo immorale che lo Stato possa finanziare un film che rappresenta il tentativo di ricostruire in maniera di parte, eventi delicatissimi e controversi».
E gli elementi di criticità rispetto all’esperienza brigatista che c’erano nel libro?
«Nella pellicola non li ho trovati. Anzi. Tutto è visto dai protagonisti con indulgenza e autogiustificazione».
Gli autori ricordano che alla fine si vedono le foto delle vittime delle Br.
«Oh sì. Ma sa come?».
No, me lo dica lei.
«Senza alcun commento, e per pochi secondi, si vedono scorrere dei volti. Si metta nei panni di un ragazzo: nulla capisce, e nulla può capire, lo spettatore medio, di cosa rappresentino quelle immagini».
Ma lei andrà a Locarno?
«Sta scherzando?».
Glielo chiedo perché ovviamente ci sarà dibattito anche sulle sue parole.
«Guardi, se io potessi, se solo ne avessi il potere...».
Cosa?
«Rievocherei immediatamente quella pellicola. Provo solo vergogna all’idea che un simile film possa rappresentare il nostro Paese all’estero».
Sa che si è detto anche per Gomorra, che ha vinto un premio a Cannes.
«Eh no! C’è una bella differenza tra questi due film».
Quale?
«Gomorra scavava nelle viscere del nostro Paese. Raccontava una realtà degradata, a tratti criminale: ma lo faceva con sofferenza e stile realista, facendo riflettere».
Invece Il Sol dell’avvenire?
«Le faccio un altro esempio: a un tratto uno dei protagonisti piange per un brigatista morto in carcere, in seguito a delle presunte torture».
Perché cita l’episodio?
«In tutta la pellicola non appare un solo momento di pentimento, un pensiero per le vittime, nulla! Solo queste lacrime.

Rispetto al debito di sangue delle Br mi pare poco».
Però il film andrà lo stesso.
«Ho disposto che nessun finanziamento su questi temi sia erogato senza il consenso dei parenti delle vittime. Quel che è accaduto non si ripeterà».

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