«Andammo in Cile scortati dai carabinieri»

«Fui minacciato di morte, ma volli partire comunque: sapevo che avremmo vinto»

Lea Pericoli

Il 18 dicembre del 1976 l’Italia vinceva la Coppa Davis in Cile. Oggi, a distanza di trent’anni, non ci sono state celebrazioni, perché quella gloriosa squadra non esiste più. Ognuno se n’è andato per la propria strada. Zugarelli è scomparso dal tennis. Panatta è in rotta con la Federazione, Bertolucci lo rivediamo in occasione di qualche telecronaca. Soltanto Barazzutti è rimasto con mansioni, che onora molto bene, da capitano. Assieme a Nicola Pietrangeli ho voluto ripercorrere il cammino di quella storica avventura, alla quale per Il Giornale anch’io fui inviata a Santiago.
«In quel lontano 1976 e sfido chiunque a negarlo - racconta l’allora capitano di Coppa Davis Nicola Pietrangeli - la sinistra si era buttata sulla trasferta della nazionale in Cile, condannando il tennis. Per quanto mi riguarda facevo un discorso sportivo che andava al di là del credo politico. È giusto non approvare i regimi totalitari, che siano di destra o di sinistra, ma in quel momento il tennis rappresentava la bandiera sotto la quale razze, religioni, politica erano chiamate a combattere con lealtà». Poi Nicola continua: «Non so spiegarmi perché in Italia si fosse scatenato quel putiferio. Durante tutto il mese di novembre subii il martellamento di radio e televisione, di giornali italiani e cileni. Destra contro sinistra, ognuno con le sue verità. Fu una vigilia dura. Ricevetti delle telefonate con minacce di morte per me e la mia famiglia. Grazie a un’amicizia personale, e non certo per la Federazione, ottenni di avere una macchina dei carabinieri sotto casa. Lottavo contro tutto e contro tutti perché sapevo che in Cile avremmo vinto e che a distanza di 30 anni nessuno si sarebbe più ricordato neppure di Pinochet. Guardacaso il suo nome è ricomparso sulle cronache soltanto quando è morto qualche giorno fa. Sembra incredibile ma il senatore Pirastru, responsabile dello sport per il Partito Comunista, venne in mio aiuto. In un dibattito alla tv disse: “Noi siamo dell’avviso che contro il Cile non si dovrebbe giocare ma se doveste partire saremmo i primi a fare il tifo per voi”. Affermazione che calmò le acque. Dal canto suo Franco Evangelisti allora portavoce di Giulio Andreotti mi aveva detto: “Guarda Nicola che il Presidente in Cile non vi manda!”. Risposi che per non mandarmi avrebbero dovuto togliermi il passaporto».
Interpellato, l’allora ministro degli Esteri Forlani confermò che nessuno avrebbe potuto togliere il passaporto a un cittadino italiano che non avesse commesso un reato. «I ragazzi furono bravissimi! Avevo suggerito di non immischiarsi. Li avevo assicurati che mi sarei assunto io ogni responsabilità politica. Infatti Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli spiegarono pubblicamente che la loro intenzione era solo quella di giocare a tennis. Alla viglia della nostra partenza, sul telegiornale, Domenico Modugno intonò le strofe di una canzone che aveva composto per opporsi alla trasferta in Cile. Si era scatenato anche Gazzelloni. Io partii da casa con la scorta dei carabinieri. Barazzutti accompagnato da un’altra macchina partì da Casal Palocco. Gli altri erano già fuori dall’Italia. A Fiumicino la polizia ci fece passare dagli imbarchi nazionali perché un gruppo di scalmanati ci aspettava. A Santiago i cileni furono ospitali. Fecero un tifo rumoroso fino a quando la partita finì. Poi iniziò la grande festa. Ci invitarono a fare la "vuelta"! Un giro intorno al campo tutti assieme. Cosa che in quel Paese si faceva soltanto quando vinceva la nazionale di tennis o di calcio».
«Attenzione - prosegue Nicola: - quando lo speaker annunciò la vittoria dell’Italia, il presidente della Federazione internazionale Derek Hartwich si fece avanti. Scostò il Presidente della Fit Paolo Galgani e diede la coppa a me. Hartwich sapeva come si erano svolti i fatti. Disse: "La coppa Davis la merita Nicola Pietrangeli". Da quel momento iniziarono i miei guai. Caddi in disgrazia! Rimasi fuori dal tennis per 15 anni. Dovevo pagarmi il biglietto per entrare al Foro Italico. Che poi Paolo Galgani abbia fatto sua una vittoria alla quale si era opposto con tutte le forze è una storia a parte. Quando nel 1980, alla vigilia dei Giochi Olimpici di Mosca, Gabriele Moretti responsabile dello sport del partito socialista mi chiese cosa ne pensassi del boicottaggio degli americani, dissi che sarei andato con lui in piazza.

Difatti in un comizio presi il microfono per esprimere pubblicamente il mio sdegno! Non potevo accettare che dei politici avessero deciso di proibire a tanti giovani americani di partecipare all’Olimpiade per la quale si erano preparati per quattro lunghi anni. Questa è la verità. In nome dello sport mi sono battuto per la Coppa Davis e mi sono schierato in favore dei Giochi Olimpici».

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