Anno nero per l'economia ma non per i top manager

I primi cinque in classifica hanno guadagnato 102 milioni contro i 58 dello scorso anno C’è la crisi, ma non per tutti. Siamo lieti di comunicarvi che il 2007 è stato l'anno nero per le famiglie italiane ma l'anno d'oro per i top manager italiani: la situazione è rappresentata perfettamente da due ricerche che sono (guarda caso) uscite in contemporanea proprio ieri

C’è la crisi, ma non per tutti. Siamo lieti di comunicarvi che il 2007 è stato l'anno nero per le famiglie italiane ma l'anno d'oro per i top manager italiani: la situazione è rappresentata perfettamente da due ricerche che sono (guarda caso) uscite in contemporanea proprio ieri.

Nella prima si elencano i debiti delle famiglie: dall'introduzione dell' euro a oggi sono cresciuti del 91 per cento. Nella seconda si elencano i redditi dei capitani d'impresa, anch' essi in crescita esponenziale: i primi cinque in classifica, tanto per dire, hanno ottenuto 102 milioni di euro, quasi il doppio di quanto (58 milioni di euro)avevanoottenuto i primi cinque l'anno scorso. «Un anno formidabile », commenta il Sole 24 Ore. E come no. Che l'anno sia stato formidabile solo per qualcuno non ci stupisce né ci preoccupa. Anzi. Da sempre questo Giornale si batte contro l'appiattimento e per la meritocrazia: non c'è nulla di stranoche ci siano 50 manager che prendono più di due milioni l'anno e 150 che ne prendono più di un milione.

La notizia non provoca in noi altro, se non un po' d'invidia: l'idea di far piangere i ricchi piace solo alla sinistra. Noi vorremmo, piuttosto, far sorridere un po' anche i poveri. Quelli indebitati, per intenderci. Maproprio per questo pubblichiamo gli stipendi dei manager, come prevede la legge per la trasparenza delle società quotate in Borsa. E li sottoponiamo al giudizio dei lettori e magari dei risparmiatori. Perché se è giusto (anzi giustissimo) che il dirigente di una società venga retribuito (bene) secondo i suoi meriti, ci chiediamo se questo sia davvero il criterio che viene seguito nel salotto buono del capitalismo, che spesso dàl'impressione di considerare concorrenzaepropensione al rischio come concetti ottimi da vendere solo nei convegni. Mica da praticare ogni giorno nella realtà, come tocca fare ad artigiani e piccoli imprenditori.

Tanto per dire: è sicuramente legittimo che Riccardo Ruggiero e Carlo Buora, che hanno amministrato la Telecom negli ultimi anni, se ne vadano a casa rispettivamente con 17e11 milioni di euro, compresoun «compenso straordinario per il contributo professionale apportato al gruppo». Ma piacerebbe sapere in proposito che cosa ne pensano i piccoli azionisti, i risparmiatori che in questo periodo hanno investito senzatroppa fortuna nelle azioni del colosso telefonico. «La verità è che ormai nelle grandi imprese nessuno rischia più niente», diceva qualche tempo fa Cesare Romiti, rimpiangendo il vecchio capitalismo familiare. E una delle critiche che i fondi stranieri spesso rivolgono al capitalismo italiano (come nel recente caso delle Generali) è proprio quello di legare poco le retribuzioni ai risultati raggiunti.

Un esempio su tutti? Uno degli ultimi amministratori dell'Alitalia, Giancarlo Cimoli, ha preso uno stipendio da 2,7 milioni di euro l'anno (circa 8mila euro al giorno) per tentare di rilanciare l'Alitalia. Il tentativo, come si può facilmente intuire, non è andato molto bene. Eppure a lui hanno dato una buonuscita di 5 milioni di euro. Per carità: riempie tutti di gioia sapere che Luca Cordero di Montezemolo è l'italiano che prende lo stipendio più alto (senza la buonuscita): 7 milioni di euro l'anno (circa 19mila euro al giorno). Evidentemente l'impegno in Confindustria non gli impedisce di dare un contributo fondamentale al rilancio della Fiat, più di quello che fa Marchionne (che infatti guadagna meno di lui).

Quello che lascia perplesso è notare che negli ultimi anni le retribuzioni dei top manager hanno continuato a crescere (oltre l'80 per cento, è stato calcolato) mentre l'economia del Paese si è progressivamente fermata. Dov'è l'errore? Eppure i grandi manager,se li senti parlare, hanno sempre l'aria di quelli che lavorano per il bene del «sistema Paese». A loro interessa la missione (anzi la mission), mica lo stipendio. Se poi arrivano stipendi da favola mentre la mission fallisce, che colpa ne hanno? I titoli in Borsa crollano, le retribuzioni crescono? Pazienza. Ai manager interessano soprattutto i valori morali, anche se molto spesso questi valori morali sono espressi in milioni di euro.

La cosa che dà più fastidio è proprio questa: le lezioncine che, dal calduccio di posizioni sicurissime, vengono impartite a quelli che rischiano davvero, giorno dopo giorno, in bottega o in laboratorio.

Così il grande imprenditore che prende i contributi dallo Stato insegna cos'è il liberismo, quello che hafatto chiudere l'Olivetti spiega come lottare contro la disoccupazione e il grande guru del mercato scrive libri per denunciare «l'avidità di denaro» che è «radice di tutti i mali»(ma solo dopo aver incassato 618mila euro per sei mesi di lavoro in Telecom, oltre 100mila euro al mese). Lui l'ha fatto per la mission, s'intende. Siamo d'accordo. Purché non ci venga adire che le famiglie italiane che si sono indebitate (+91%) lo hanno fatto per avidità di denaro...

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