La battaglia che cambiò tutto. Un anno di eventi a Pavia

Mostre, rievocazioni e un docu-film narrato da Servillo. La città ricorda i fatti che segnarono la fine di un’epoca

La battaglia che cambiò tutto. Un anno di eventi a Pavia
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La prima grande battaglia europea, la comparsa delle armi da fuoco - inedita tecnologia bellica - una fanteria di archibugieri che sgomina la cavalleria pesante, l’esercito borghese che riesce a piegare una nobiltà in arme avviata al crepuscolo insieme ai suoi «valori», un re fatto prigioniero, l’inizio del dominio spagnolo in Italia. È un evento epocale la Battaglia di Pavia, di cui ricorre in questi giorni il 500° anniversario. Il 24 febbraio 1525, alle porte della città assediata, si fronteggiavano da un lato l’esercito imperiale e la guarnigione pavese, e dall’altro le truppe francesi comandate da Francesco I di Valois. Accampato lungo la Vernavola, che oggi evoca pic-nic e biciclettate, il re scese in campo, fu sconfitto, imprigionato, condotto nel castello di Pizzighettone e infine in Spagna, dove Carlo V lo costrinse a firmare il Trattato di Madrid. Non finirono le «guerre d’Italia», ma quel momento lasciò il segno come pochi altri, rappresentando per qualcuno la vera fine del Medioevo.

Dopo 5 secoli, Pavia si prepara a ricordare e studiare la Battaglia con un programma lungo un anno di appuntamenti destinati a tutti: rievocazioni con centinaia di figuranti, convegni ed eventi (dalla maratona al concerto), grazie a uno sforzo organizzativo di Comune, Camera di Commercio, Fondazione Monte di Lombardia e Università.

Il 21 al Politeama l’anteprima del documentario narrato da Toni Servillo, primo episodio della serie «La Battaglia di Pavia e altre storie. Duemila anni di vita di una capitale». E poi le mostre: quella multimediale apre già il 15 al Castello Visconteo, quella libraria in autunno nel Salone teresiano dell’Ateneo, e infine la mostra che - da settembre - riporterà in città alcuni splendidi pezzi della fioritura culturale che Pavia conobbe nel Rinascimento, primi fra tutti - in prestito da Capodimonte e in arrivo dagli Usa - gli stupefacenti arazzi intessuti dalla manifattura fiamminga nel 1530-1532. Maestri evidentemente mai stati in Italia rappresentarono i fatti raffigurando Pavia con i tetti spioventi come una città nordica.

Eppure faceva freddo, in quel febbraio del XVI secolo. Non di rado sul Ticino galleggiavano lastre di ghiaccio, la Pianura padana era tormentata dalla neve più di quanto non sia adesso, e la nebbia fece la sua parte nella geniale manovra escogitata quella notte dal marchese di Pescara. La «Banda Nera», pur combattendo con coraggio, fu travolta. Il mitico Giovanni, ultimo capitano di ventura, in una delle scaramucce che lo videro in prima fila, sotto le mura di Pavia il 18 febbraio fu colpito da un proiettile e dovette lasciare l’accampamento francese. Morirà due anni dopo, per un’altra ferita alla gamba riportata a Governolo contro i lanzichenecchi in marcia su Roma, «...

accostatosi più arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie, avendo essi dato fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a Giovanni de' Medici; del quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morì pochi dì poi...» scrive il Guicciadini. Vita dura quel «mestiere delle armi» evocato da Ermanno Olmi nel capolavoro proiettato due sere fa al Politeama. La guerra come fatto di nobiltà, se mai esistita, finiva in quei giorni.

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