Assalto a Gerico, catturato leader palestinese

Gian Micalessin

Ariel Sharon l’aveva giurato. Per lui, Ahmad Saadat e i killer del ministro israeliano Rehavam Zeevi potevano stare o dietro alle sbarre o sottoterra. Yasser Arafat prima li aveva accolti dietro le mura della sua Muqata. Poi li aveva salvati in extremis sbattendoli in galera a Gerico e siglando un fantasioso accordo che affidava ad americani e inglesi il controllo della loro prigionia. Ma Ismail Hanyeh, il premier palestinese designato da Hamas, ripeteva da settimane di volerli liberare. E il presidente Mahmoud Abbas ammetteva di non aver nulla da obbiettare. Così ieri il premier israeliano Ehud Olmert e il suo ministro della Difesa Shaul Mofaz, sollecitati anche dalle urgenze della campagna elettorale, hanno deciso di andarseli a prendere. Da ieri sera, dopo un assedio al carcere durato nove ore e punteggiato da fitte sparatorie, incursioni di elicotteri, esplosioni di missili e granate, Saadat e altri cinque super ricercati sono nelle mani degli israeliani.
Lo spettacolare e drammatico epilogo prende il via alle nove e mezzo di mattina quando una colonna di fuoristrada carichi di poliziotti americani e inglesi si presenta al posto di blocco di Gerico. Da quattro anni, per la precisione dal maggio 2002, quei “secondini” internazionali fanno la guardia al capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina Ahmed Saadat e ai quattro sicari accusati dell’uccisione del ministro israeliano. In un’altra cella c’è Fuad Shobaki, l’uomo che nel 2001 tentò di far arrivare a Gaza una nave carica di armi. Ma l’era dei secondini internazionali è finita. Stanchi di segnalare gli abusi quotidiani di un carcere dove detenuti e visitatori circolano in totale libertà, Washington e Londra hanno deciso di abbandonare la partita. Gli israeliani e soprattutto Olmert e Mofaz non possono esitare. Accusati di debolezza e attendismo dal Likud, devono ora dimostrarsi determinati e inflessibili. Gerico offre un’occasione irripetibile. Un’ora dopo la ritirata anglo-americana la brigata Nahal scatena l’operazione “Fategli Visita”. Gli elicotteri volteggiano sulla prigione, i carri armati assediano il carcere, gli incursori si avvicinano ai cancelli seguiti da jeep cariche di militari. La prima ondata abbatte il cancello, i bulldozer blindati aprono profondi varchi nella recinzione. La difesa è scarsa, ma i combattimenti rischiano di tramutare l’assalto in un bagno di sangue. Tra le macerie ci sono già i cadaveri di un agente palestinese e di un detenuto. Un terzo muore all’ospedale di Gerusalemme. Ma gran parte dei prigionieri e delle guardie palestinesi vogliono solo arrendersi. Gli ufficiali e i politici israeliani non vogliono del resto tramutare l’incursione in una disfatta politica e mediatica.
L’assedio per un po’ si ferma. Decine di detenuti e secondini in mutande e canottiera si consegnano con le mani al cielo. Saadat e gli altri sprofondano nell’angolo più difeso della galera. Intanto l’interferenza televisiva aggiunge aspetti surreali e grotteschi al dramma in diretta. Mentre un ufficiale israeliano ricorda agli irriducibili di scegliere tra la resa e la morte certa, Ahmed Saadat è in diretta telefonica con Al Jazeera e collegato attraverso lo studio a Khaled Meshaal, il segretario dell’ufficio politico di Hamas in esilio. Mentre i carri armati bersagliano la prigione e le esplosioni ne scuotono le fondamenta, Meshaal e l’emozionato Saadat commentano in diretta l’“aggressione” israeliana e condannano la ritirata anglo americana. La diretta di Al Jazeera e la rabbia dei palestinesi costringono il ministro degli Esteri britannico Straw a ricordare, da Londra, di aver notificato più volte l’inadempienza dei palestinesi e i privilegi dei galeotti di Gerico.
Lo stallo nelle trattative per la resa di Saadat, degli ultimi detenuti e di un manipolo di agenti dell’Anp schierato a loro difesa, minaccia peraltro di rivelarsi controproducente per le autorità israeliane. Rincuorato e ringalluzzito il prigioniero Saadat annuncia ai telespettatori mediorientali di esser pronto a morire pur di non arrendersi. «Siamo pronti ad andarcene come dei veri uomini», ripete al telefonino. Al tramonto lo scroscio delle raffiche mitragliatrici e i boati di nuove esplosioni lo riducono al silenzio. A guidare le operazioni è arrivato il capo di stato maggiore israeliano. C’è fretta di farla finita. La mossa risolutiva è l’arresto del comandante palestinese che fino a quel momento ha fatto la spola tra le linee israeliane e le rovine del carcere per trattare la resa.

Quando non lo vedono più ritornare e apprendono il suo destino, Saadat e compagni rinunciano a ogni eroismo. Alzano le mani, si uniscono all’ultimo sparuto gruppetto di poliziotti ancora pronti a difenderli e annunciano la resa in mutande.

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