Atroce fine del pacifista Usa rapito in Irak

Gian Micalessin

L’illusione è finita in tragedia. In Irak succede spesso. Il pacifista americano Tom Fox c’era andato per aiutare i civili iracheni. Per battersi, scriveva, contro la disumanizzazione del conflitto. La disumanizzazione ha battuto lui. L’avevano rapito il 26 novembre. L’hanno ritrovato ieri. Torturato. Ucciso. Abbandonato come una carogna d’animale in una discarica di rifiuti, a lato della ferrovia che attraversa un quartiere occidentale di Bagdad.
Nessuno s’aspettava di rivederlo vivo. L’ultimo barlume di speranza era svanito il 28 febbraio. Quel giorno i suoi macellai, un gruppo di terroristi islamici, «Spade della rettitudine», aveva fatto arrivare alla rete televisiva Al Jazeera un filmato con le immagini del gruppetto di pacifisti del Christian Pacemaker Team sequestrati assieme a Fox. In quelle immagini Tom non c’era. La telecamera aveva ripreso solo i volti silenziosi e angosciati del britannico Norman Kember e dei canadesi James Loney e Harmeet Sooden. Tom era già stato separato, già destinato alla mattanza. La sua colpa era illudersi di poter aiutare gli iracheni. Prima di finire nelle mani dei suoi assassini aveva visitato famiglie, portato medicinali in cliniche ed ospedali.
Il sogno di questo 54enne della Virginia era mettere insieme una squadra di pacifisti islamici capaci di lavorare al fianco dei pacifisti di Pacemaker Team. Quel sogno l’ha rapito e ucciso. «Piangiamo la perdita di Tom, che era nemico – scrivono dall’America gli amici del suo gruppo – di tutte le oppressioni e riconosceva Dio in ogni creatura». Chi l’ha ucciso in nome di un altro Dio l’ha flagellato con un cavo elettrico, gli ha scaricato una raffica di kalashnikov nella schiena, l’ha finito con una pallottola alla nuca. «Per ricordare Tom - ripetono Christian Doug Pritchard e Carol Rose, direttori del Christian Pacemaker team - vorremmo che ciascuno diventasse come lui rinunciando al desiderio di svilire o demonizzare il proprio prossimo».
Tom Fox è il quinto ostaggio americano assassinato in Irak. E tutti sperano sia l’ultimo. Dopo di lui nella lista dei rapiti con passaporto americano c’è solo Jill Caroll, la giornalista free lance sequestrata il 7 gennaio a Bagdad. Jill aveva iniziato la sua carriera negli ultimi mesi del regime di Saddam Hussein e sognava di aiutare gli iracheni raccontando il loro dramma quotidiano. Anche lei è stata minacciata di morte, ma nessuno ha risposto alla richiesta dei suoi sequestratori di rilasciare le prigioniere detenute in Irak. L’ultimatum di Jill è scaduto il 26 febbraio e di lei non arrivano notizie.
Il ritrovamento del cadavere di Fox fa tremare anche i familiari dell’inglese e dei due canadesi rapiti assieme a lui. Il sottosegretario britannico Kim Howells ha ammesso che l’uccisione dell’americano appare «terribilmente preoccupante».
Intanto la catena di reciproche vendette innescata dalla distruzione del mausoleo sciita di Samarra continua a reclamare sangue. Ieri tre delle guardie di sicurezza del ministero del petrolio sequestrate assieme a una cinquantina di colleghi lo scorso mercoledì scorso sono state trovate impiccate. I tre agenti, ritrovati con le mani legate dietro alla schiena, lavoravano per una società incaricata di proteggere gli oleodotti iracheni. Giovedì scorso, ricordiamo, sette fuoristrada carichi d’uomini armati con le divise dei corpi speciali del ministero degli Interni avevano fatto irruzione nel complesso della compagnia di sicurezza sequestrando una cinquantina di dipendenti e svuotando le casseforti della ditta.
I responsabili della compagnia, quasi tutti ex militari sunniti come i loro dipendenti, hanno immediatamente accusato le forze speciali composte da sciiti in forza al ministero degli Interni. Qualche mese fa le truppe americane avevano fatto irruzione nei sotterranei dello stesso ministero liberando decine di sunniti rapiti e torturati dalle milizie sciite.
In un altro capitolo della guerra di religione che infuria da due settimane, è stato ucciso Amjad Aameed, capo redattore di Al Iraqia, la televisione di stato irachena allineata con le forze di governo sciite.

Aameed era in un’auto, nel centro di Bagdad, quando un veicolo gli ha bloccato la strada e un gruppo di sicari l’ha freddato a colpi di kalashnikov ferendo il suo autista. La stessa sorte era toccata, giorni fa, a Munsuf Abdallah al-Khaldi, un presentatore della televisione di Bagdad controllata dai sunniti.

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