Attacchi ai Ds, quel filo rosso tra Parisi e Prodi

Arturo Diaconale

Un filo rosso collega l’intervista della scorsa estate con cui Arturo Parisi sollevò la questione morale contro i Ds e la più recente esplosione della vicenda Unipol-Bnl. Gli amici di Massimo D’Alema e Piero Fassino non hanno dubbi in proposito. Sono convinti che dichiarazioni estive del più stretto ed ascoltato collaboratore di Romano Prodi non furono affatto casuali. Ma diedero il via ad una complessa operazione che nelle intenzioni originarie avrebbe dovuto creare le migliori condizioni per la nascita, alla vigilia delle elezioni politiche di primavera, del cosiddetto Partito democratico. Allora molti pensarono che le «migliori condizioni» di Parisi dovessero consistere in una riverniciata di moralità dei partiti del centrosinistra ed in un rilancio della leadership di Romano Prodi. Adesso tutti capiscono che le «migliori condizioni» a cui puntava il collaboratore del leader dell’Unione altro non erano che la decapitazione dell’attuale gruppo dirigente dei Democratici di sinistra.
Nessuno, ovviamente, tra i sostenitori di D’Alema e Fassino, è in grado di supportare con prove certe ed inequivocabili questa ipotesi. Ma chi per tradizione storica è abituato da sempre a considerare le proprie difficoltà come il frutto dei complotti altrui, non ha alcun bisogno di prove. Basta l’elenco cronologico dei fatti succedutisi dall’estate ad oggi per dimostrare che l’obiettivo dei «poteri forti» legati a Romano Prodi è quello di favorire la nascita di un Partito democratico in cui la componente diessina non abbia alcun ruolo egemonico. E come impedire agli ex comunisti di considerarsi i «padroni» naturali di qualsiasi soggetto politico unitario della sinistra? Semplice: liquidando per via mediatico-giudiziaria la maggioranza del gruppo dirigente Ds legata a D’Alema e Fassino e depotenziando il partito attraverso la fine del collateralismo con la «finanza rossa» delle cooperative.
Come reagire ad un complotto così complesso e perverso? La discussione tra le presunte vittime è appena all’inizio. Qualcuno vorrebbe uscire dal bunker con le mani alzate accettando tutte le condizioni poste dal «nemico». Cioè la rinuncia a qualsiasi forma di collateralismo con un gruppo di potere finanziario, lo scaricamento di Giovanni Consorte ed il ridimensionamento politico dell’attuale gruppo dirigente diessino. Altri chiedono di vendere cara la pelle e, come ha fatto lo stesso Massimo D’Alema, minacciano di mandare all’aria qualsiasi progetto di Partito Democratico scegliendo di andare alle elezioni con la stessa formula del «tridente» usata dal centrodestra. Altri ancora, infine, cercano di mediare tra l’ipotesi della resa e quella della rottura proponendo ai complottatori assedianti una formula di compromesso. Dare vita al Partito democratico con la rinuncia all’egemonia dei Ds. Ma, al tempo stesso, evitare di umiliare fino in fondo l’attuale gruppo dirigente diessino consentendo al partito di non rinunciare a una precisa fetta di potere nel mondo della finanza. Come dire che il prezzo della nascita del Partito democratico potrebbe essere la conquista della Bnl da parte dell’Unipol depurata da Giovanni Consorte.
Prevedere quale sarà la linea che riuscirà a spuntarla tra i dalemiani ed i fassiniani è praticamente impossibile.

L’unica sicurezza in tanto caos è che più va avanti questo scontro, più l’idea del Partito democratico unitario tra Margherita, Ds e prodiani va a farsi benedire. Vuol dire che invece della «punta unica» o del «tridente» il centrosinistra sarà costretto ad adottare in campagna elettorale la formula dell’oratorio: niente regole e tutti dietro il pallone.

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