Gentile Anna,
siamo coetanei e anche io ravviso i cambiamenti di cui lei parla con tanta lucidità e chiarezza. Non si tratta di progressi, ne convengo, bensì di degenerazioni umane e sociali che hanno peggiorato anche l'umore e la qualità della vita delle persone, dei giovani in particolare. Quando noi anziani compiamo certe osservazioni, corriamo il rischio di dilungarci in prediche noiose, di risultare tediosi e antichi, incapaci di comprendere la società attuale. Non è questo il caso. Non siamo qui a scandalizzarci di determinati costumi, a imporre una morale stantia, bensì ad evidenziare una trasformazione che ha investito ogni aspetto del vivere civile. Ha ragione lei. Ciarliamo tanto di diritti e mai di doveri, che pure si accompagnano ai primi, e sono il riflesso dei primi. Non esiste libertà che non comporti responsabilità. Questo non si spiega mai agli adolescenti, ne convengo. Ed ecco che abbiamo il fenomeno dei giovani di Ultima Generazione, ad esempio, che, affermando di esercitare il loro diritto di manifestare, bloccano il traffico impedendo la libera circolazione di centinaia e centinaia di cittadini, talvolta ostacolando persino il transito ai mezzi di soccorso. È accaduto, ahinoi. Questo tipo di educazione è fondata sull'assenza del concetto del limite. Non esistono paletti. Si può fare tutto e tutto è lecito. Si può chiedere, anzi pretendere, tutto e tutto è dovuto. Di chi è la colpa? Delle famiglie in primis, del sistema educativo anche, che ha rinunciato a svolgere quel compito formativo che va al di là della mera spiegazione della paginetta di storia o di geografia, di cui dopo ci si dimenticherà. La scuola deve formare al vivere civile, però essa forma spesso al vivere incivile, diviene una palestra di cattiva educazione. Da qui pure l'emersione del fenomeno del bullismo. Una volta i bulletti erano innocui, oggi assomigliano a criminali a tutti gli effetti, i quali sono capaci di realizzare in gruppo crimini atroci, perché il sistema scolastico è stato molle, ha lasciato loro campo libero. Ancora chiedo: di chi è la colpa? Degli educatori sì, ma innanzitutto delle famiglie, di padri e madri troppo presi da se stessi e dai social network e dalle frivolezze per occuparsi della educazione del figlio, una educazione che deve contemplare la punizione, la durezza, la severità in alcuni casi. I ragazzi vanno premiati e pure puniti, non viziati. Si è imposta una mentalità che rigetta la sofferenza, invece soffrire è indispensabile per crescere. Occorre fare capire ai giovani che ogni cosa nella vita non è data, ma deve essere conquistata e per essere conquistata occorre volerla e impegnarsi per quel determinato obiettivo. Concedere tutto gratuitamente, perché così è più facile, è dannoso. Conduce il fanciullo al disimpegno, all'apatia, alla depressione, all'arroganza, all'egoismo, all'assenza di rispetto nei confronti della fatica altrui, del lavoro altrui, in generale, nei confronti del prossimo.
Bene. Questo è il problema. Lo sappiamo ormai. Il punto è un altro adesso. Qual è la soluzione? Capovolgere il nostro modo di educare, di pensare ai ragazzi, di rapportarci a loro. La parola d'ordine è responsabilizzazione.
I ragazzi tengano a mente che nessuno potrà mai procurare loro ciò che desiderano, devono essere loro a impegnarsi e lottare per la propria realizzazione, per la propria affermazione, per il proprio successo, per la propria indipendenza economica. Tutto questo comporta pure dolore, sacrificio, sudore, e passa per lo studio, la disciplina, il rispetto, la consapevolezza, che pure la libertà si perde se il dovere viene umiliato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.