
Pensando di essere "al sicuro" da occhi e orecchie indiscrete e fidandosi dei suoi colleghi di lavoro, un operaio fiorentino di 40 anni ne aveva dette di tutti i colori contro i suoi dirigenti all'interno di una chat di WhatsApp ma, dopo essere stato scoperto (non casualmente), è stato licenziato. Oggi la Cassazione ribalta la decisione dell'azienda e lo fa riassumere.
Cosa è successo
Nel caso specifico (i fatti risalgono al 2018), l'operaio ha inviato messaggi scritti e audio vocali ad altri 12 suoi colleghi lamentandosi della dirigenza ma sentendosi "al sicuro" perché i suoi pensieri li aveva esternati solamente ai colleghi di lavoro in una chat di gruppo sulla celebre app. Peccato, però, che uno di loro evidentemente non lo stimasse abbastanza (oltre a non essergli minimamente amico) denunciandolo ai superiori che, una volta letto e ascoltato il materiale, decidono di licenziarlo perché il contenuto è stato ritenuto ingurioso e offensivo, l'operario doveva essere allontanato per sempre.
La sentenza della Cassazione
A quel punto, non potendo fare più nulla, l'operaio si rivolge al tribunale che nei giorni scorsi ha ribaltato la scelta della sua azienda annullando quel licenziamento e facendolo reintregare con il diritto a recuperare tutte le mensilità perse nel periodo in cui non ha potuto prestare servizio. In un primo momento, l'operario aveva già ricevuto il consenso da parte della Corte d’Appello di Firenze ma adesso anche la Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda spiegando perché ha dato ragione al lavoratore.
Cos'è il "diritto alla riservatezza"
A differenza delle mail dove i contenuti sono considerati pubblici e possono essere visti da molte persone, lo stesso non vale per le chat e i gruppi di WhatsApp per quello che si chiama "diritto alla riservatezza", parola che è anche sinonimo di segretezza: chiunque si deve sentire libero di esprimere il proprio parere, pur se negativo, nei confronti dei superiori senza temere di essere licenziato. Questo perché le comunicazioni, in questo caso, sono da considerare riservate (come accadeva una volta nella corrispondenza epistolare). "Il messaggio Whatsapp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch'esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione".
Dunque, il datore di lavoro non può sbirciare le chat e nemmeno avere il potere di sanzionare un dipendente non tanto per il suo operato ma per quel che dice ad altre persone terze (colleghi di lavoro o altri che siano).
"La società ha appreso il contenuto della corrispondenza, destinata a rimanere segreta, su iniziativa di uno dei destinatari della stessa; nondimeno, tale iniziativa costituisce violazione del diritto alla segretezza e riservatezza della corrispondenza avvenuta in danno del dipendente", spiega la Corte d'Appello fiorentina come riportato dal Corriere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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