La punta di lancia giustizialista della Gazzetta delle Procure, l’uomo che da 20 giorni perseguita Berlusconi con le sue dieci domande-insinuazioni, Giuseppe D’Avanzo insomma, si lamenta in prima pagina perché la Procura di Roma indaga Berlusconi. E lo indaga, badate bene, dopo che da giorni Repubblica, il giornale di D’Avanzo, strillava che il premier avrebbe dovuto essere messo sotto inchiesta per aver accolto su voli di Stato ospiti diretti a Villa Certosa.
Non poteva che concludersi così, con un autogol tanto spettacolare da far invidia a Comunardo Niccolai, il difensore del Cagliari indiscusso specialista del genere, la campagna elettorale più surreale e scorretta della storia. Una campagna ideata e imposta proprio dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, quello che maneggia il quotidiano romano come un manganello mentre fischiettando accusa gli altri giornali di essere dei manganelli.
Piange il segugio di Mauro, l’uomo che ha realizzato formidabili scoop come intervistare in rapida successione l’ex fidanzato e la zia della diciottenne Noemi Letizia, Giuseppe D’Avanzo insomma: «La Procura, di solito lesta come un plantigrado, decide di muoversi con la rapidità di un velociraptor e, a tre giorni da un voto, iscrive Silvio Berlusconi nel registro degli indagati. La mossa, inutile da un punto processuale, sarà vantaggiosa soltanto per il presidente del Consiglio che, da giorni, invoca un provvedimento della magistratura per rispolverare il vecchio armamentario del complotto mediatico-giudiziario che tanta fortuna gli porta nelle competizioni elettorali».
C’è da stropicciarsi gli occhi, da darsi dei pizzicotti per accertarsi di essere svegli: ma stiamo leggendo proprio Repubblica? Anzi, l’editoriale di Repubblica, l’articolo più importante, il pezzo che marca la linea del giornale? Sembra impossibile ma sì, non ci sono dubbi. Stiamo sfogliando proprio il quotidiano di Largo Fochetti. Quello che per un bell’avviso di garanzia appioppato alle persone giuste, soprattutto sotto elezioni, non ha mai lesinato applausi e champagne marca D’Avanzo. Quello che per primo ha sparato nei titoli la parola «peculato» a proposito del passaggio aereo dato da Berlusconi a Mariano Apicella e alla sua chitarra. Quello che l’altro giorno ha scomodato nel suo attico parigino una delle firme di punta per confezionare una paginata in cui, insomma, si suggeriva che il comportamento del premier alla parata del 2 giugno poteva meritare una bella accusa di vilipendio. Quello che sulle motivazioni di una condanna nota da tre mesi (caso Mills) ha aperto un fuoco tipografico degno del processo di Norimberga. Quello che ha riproposto come vangelo la bufala del Times (la finta intervista in cui veniva fatto dire alla mamma di Noemi: «Berlusconi faccia per mia figlia ciò che non ha fatto per me») ignorando la smentita con una disinvoltura da far invidia al miglior Tonino Di Pietro. Quello che ha recapitato al Cavaliere l’avviso di divorzio di Veronica Lario. Quello che da oltre un mese insinua che l’Italia è governata da un pedofilo, senza avere il coraggio di dirlo ma sperando segretamente che qualcuno dei tanti magistrati amici abbocchi.
Ecco, improvvisamente il faro della sinistra, il giornale-partito che ha intrappolato tra gossip e aule di giustizia tutta la campagna elettorale e ha preso in ostaggio l’improbabile leader del Pd, il leggenDario Franceschini, legandolo sulla prua della corazzata di carta e obbligandolo a ballare al ritmo dei suoi editoriali, improvvisamente, dicevo, Repubblica si accorge di aver lavorato per il nemico. Scopre che gli assalti giudiziari invocati, propiziati e celebrati per decenni non scalfiscono l’odiato Cavaliere. Anzi, rischiano di rafforzarlo. E lo scrive pure. Un po’ come se D’Alema ammettesse di non essere il più in gamba di tutti e di avere qualche lacuna, oltre che in aritmetica, anche in politica e nel governare una barca. Inimmaginabile.
Eppure qualcosa dev’essere successo a Largo Fochetti ora che le urne sono a un passo e le munizioni, quelle da Repubblichella 2000 come quelle da Eco delle Manette, sono esaurite. Forse è la rabbia nel vedere che tanto spiegamento di forze, soldi e professionalità non ha prodotto i risultati sperati. Forse è addirittura il timore che un infausto risultato elettorale possa provocare danni, oltre che nella sede democrat, anche nel tempio fondato da Eugenio Scalfari.
In effetti, Ezio Mauro si è esposto molto. Se il «suo» Pd restasse sotto la soglia del 27-28% e contemporaneamente il Pdl sfondasse il 40, a parte la democratica intemerata d’ordinanza contro gli italiani che non capiscono nulla, qualche riflessione sarebbe costretto a farla. E magari l’autocritica partirebbe dal fatto di aver affidato il suo raffinato disegno politico nelle mani di D’Avanzo. Il giornalista che ha scritto libri per infangare persone poi regolarmente assolte. L’editorialista che è riuscito a trasformare un regolamento di conti tra bande camorristiche rivali in un episodio di razzismo da gettare addosso al governo di centrodestra.
Con uno così, onestamente, l’autogol era nell’aria. E alla fine è arrivato. Tra i malinconici applausi di Comunardo Niccolai.
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