Orologi da tavolo, televisori, poltrone, radio, strumenti per Olivetti e Veglia Borletti, macchine per il caffè - come le famose Cimbali -, accendigas, strumentazioni di aerei, condizionatori d'aria, telefoni pubblici, lampade ma anche, e soprattutto, automobili. Chi è la figura maestosa che si erge dietro a tutte queste ingegnose invenzioni, così differenti tra loro, ma in grado di condizionare e mutare il panorama delle città, nel pubblico e nel privato, e gli stili di vita per oltre quattro decadi? La risposta è una soltanto: Rodolfo Bonetto. Il designer milanese fa parte di quelle personalità che rientrano di diritto nella categoria dei geni italici, privilegio per pochissimi eletti.
Dal jazz al design di auto
Rodolfo Bonetto nasce a Milano nel 1929. La sua storia si sviluppa intorno alla musica. Il giovane meneghino suona la batteria e impara la sua arte ascoltando compulsivamente, e in modo appassionato, la musica jazz trasmessa dalla radio americana durante la Seconda Guerra Mondiale. I dischi diventano per lui la prima fonte per abbaverarsi alla conoscenza delle note. Non riuscirà mai a leggere uno spartito, ma grazie alla sua naturale propensione a suonare a orecchio, diventa in breve tempo uno dei maggiori jazzisti d'Italia, entrando a far parte del famoso "Sestetto italiano" con Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Attilio Donadio, Berto Pisano e Giampiero Boneschi, suonando nell'orchestra Rai di Milano.
La musica lo introduce in salotti esclusivi, dove conosce persone dello spettacolo e pezzi grossi della società, impressionati dalla sua bravaura come batterista, ma anche per la sua stravagante particolarità: disegnare le auto sulla pelle dei tamburi. Bonetto appena può crea qualche sketch, qualche bozzetto di macchina. Nella metà degli anni '50, grazie allo zio Felice Bonetto, famoso pilota automobilistico, riesce a entrare in contatto con le celebri carrozzerie di Torino, come Viotti, Vignale, e Boneschi. Tutte quante restano piacevolmente sorprese dal talento e dalle capacità di Bonetto, che di fatto è un autodidatta. Le linee proposte dal jazzista sono moderne e innovative, come si può dedurre dall'Alfa Romeo 4500 creata per lo zio Felice, con la quale corse alla Mille Miglia.
Nel 1953 Bonetto, alternandosi alla sua professione di musicista, confeziona una mirabile Lancia Aurelia per la carrozzeria Vignale. È un tripudio di consensi e una scintilla che gli serve per capire che lo stilista d'auto può, e anzi, deve essere essere la sua nuova attività. Questa vocazione lo porta nel 1958 ad abbandonare il jazz per l'industrial designer, confrontandosi con architetti famosi. Lui, seppur arrivato in quel campo senza particolari studi, non si sente intimorito, tutt'altro, perché la sua mancanza di titoli lo porta a impegnarsi di più e ad affinare le proprie tecniche di disegno e di conoscenza delle tecnologie produttive.
Rodolfo Bonetto e l'automobile
Bonetto apre il suo primo studio in corso Magenta, a Milano, in condivisione con l'amico Otello Spagliardi che fa il geometra. Comincia una proficua collaborazione con Borletti, che lo porterà non solo a migliorare le capacità di progettazione tecnica, ma a realizzare la strumentazione di auto come la Fiat 500 e 600, oltre che per tante fuoriserie di Ferrari. La sua creatività viene premiata. Tuttavia, Rodolfo Bonetto vorrebbe soddisfare la sua anima, conquistando una laurea. Così, agli inizi degli anni '60 invia una lettera a Thomas Maldonado, direttore dela "Hochschule fur Gestaltung" di Ulm, al quale chiede di potersi iscrivere come studente. La risposta è di tutt'altro tipo: "Caro Bonetto, lei non deve fare lo studente, ma il docente". Ottenuta la cattedra nell'università tedesca, un po' a sorpresa, incontra uno studente con il quale nasce una profonda amicizia: Pio Manzù. Tra i due si crea una comunione d'intenti e una collaborazione all'insegna della genialità.
Nei favolosi anni '60, sulla scrivania di Bonetto arrivano paginate di cooperazioni con le più importanti carrozzerie del settore auto, che gli commissionano progetti audaci e seducenti, come la cabriolet Viotti su telaio Bristol per l'attore Peter Sellers, pensata con un parabrezza che si abbassava per prendere l'aria in viso, un concetto amato soprattutto dai clienti inglesi.
Il legame con la Fiat
Tra i mille e variegati progetti, arriviamo nel cuore degli anni Settanta del secolo scorso. Dopo un casuale incontro tra Umberto Agnelli e Rodolfo Bonetto, l'industriale torinese resta colpito dalle parole del designer, tanto che lo invita a visitare la sede Fiat per esporgli di persona le perplessità che affligono il gigante automobilistico. Da quel momento nasce un lungo sodalizio che serve ad aprire uno studio di design degli interni Fiat a Milano, diretto dallo stesso Bonetto. Umberto Agnelli si reca ogni 15 giorni nel capoluogo lombardo per discutere, insieme a un team di progettisti di Torino, gli abitacoli delle nuove vetture e tutti i progetti relativi.
Da quelle stanze si sviluppa un nuovo modo di lavorare, una nuova cultura nel car design, che ha permesso alla Fiat di godere di tante eccellenti creazioni, come gli abitacoli della Ritmo Super e della Fiat 131 Supermirafiori, che nel 1979 ottiene il Compasso d'oro. L'abitacolo della berlina nasce grazie a Bonetto, che aveva interpellato i tassisti milanesi che lamentavano la mancanza di uno spazio comodo dove riporre lo stradario e altri incartamenti senza doversi ogni volta abbassare per aprire il tradizionale cassettino portaoggetti collocato sotto la plancia. Bonetto pensò a una sorta di pozzetto sopra la plancia chiuso da due ante scorrevoli, facilmente raggiungibile dal guidatore senza distrarsi.
Molto interessante anche l'applicazione del design al motore, un'esperienza che Bonetto affronta realizzando nel 1984 il motore "Fire 1000", che fece la fortuna del Gruppo
Fiat per gli anni a venire, fin quasi all'età contemporanea. Nel 1991 muore a Milano e viene onorato con il Compasso d'oro alla persona. Difficilmente, riusciremo a vedere in futuro un uomo come Rodolfo Bonetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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