«Avatar», mezz’ora di effetti speciali da far venire le vertigini

CourmayeurPoveri giornalisti, come siamo caduti in basso. L’altra sera per l’anteprima mondiale di Avatar, che poi non era l’intero film, ma solo uno spezzatino di trentuno minuti, sono piovuti da Milano a Courmayeur sei, diconsi sei, agenti speciali antipirateria. Come se qualcuno tra i cronisti presenti al Pala Noir avesse in animo di fare una ripresa proibita. Per poi farne che? Rivenderla? E a chi? Perfino l’incredulo ospite Gabriele Salvatores è stato invitato a spegnere il telefonino, capace di chissà quali atti di sabotaggio. Mah. Facile prevedere comunque che il kolossal di James Cameron, costato la bellezza di quasi 250 milioni di dollari, a cui bisogna aggiungere gli svariati milioni per il battage pubblicitario, si isserà subito in vetta alle classifiche. In Italia, per un inesplicabile mistero, soltanto dal 15 gennaio, nel resto del mondo già da venerdì prossimo. A Courmayeur si sono viste dieci lunghe scene in un trionfo di effetti speciali, davvero sensazionali, grazie anche alla sempre più invadente formula del 3D, che obbliga lo spettatore a munirsi dei micidiali occhialini, ancora più fastidiosi per chi porta già le proprie di lenti.
La storia, in estrema sintesi, è presto detta. Una navicella spaziale, a bordo fra gli altri la specialista in viaggi galattici Sigourney Weaver, reduce dal poker di Alien, la chioma più rossa che mai, si dirige verso l’immaginario pianeta Pandora, una terra sconosciuta destinata alla colonizzazione. Come dire che gli usurpatori con il passare dei secoli non cambiano le cattive abitudini. Tra gli astronauti anche il marine Jake Sully, interpretato dal seminoto australiano Sam Worthington, che in guerra ha perduto l’uso delle gambe, non certo il coraggio. E che, arrivato a destinazione, potrà saltare di nuovo come un grillo per un prodigio della tecnologia genetica. Se il viaggio fin lassù, che si spera cinematograficamente breve, non offre particolari emozioni, c’è da restare a bocca aperta per le invenzioni visionarie del nuovo mondo. Intanto gli abitanti: ominidi blu, parenti dei Puffi per il colore, ma più affini ai Watussi, per lo meno quelli di Edoardo Vianello, per la statura. Mica tanto belli per la verità: il naso schiacciato, gli orecchioni a punta, un codone all’insù, l’espressione non proprio intelligente. E poi una specie di foresta tropicale, dove non ci si stupirebbe di vedere apparire Tarzan redivivo: con giganteschi quadrupedi a mezza via tra cavalli e dinosauri; uccellaci volanti un po’ pipistrelli, un po’ avvoltoi; e piante, le più immaginifiche, e fiori di ogni specie, e strapiombi da far venire le vertigini anche a Walter Bonatti. Insomma, una gioia per gli occhi.
Del resto Cameron pensava questo film prima di immergersi nell’avventura del Titanic, una gestazione monstre di quattordici anni, per la quale ha già in mente, per ora allo stato puramente embrionale, un seguito.

Come ha annunciato nella conferenza stampa londinese di ieri, che a Courmayeur è rimbalzata in contemporanea. Con la possibilità di trasformarlo in una saga, se saprà stringere i tempi di attuazione. A meno, che come i suoi fantasiosi personaggi, riesca a vivere due o trecento anni.

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