Aviaria, i consumi crollano del 70%

L’aviaria l’abbiamo in casa. Ci incalza dai teleschermi, dove le immagini di tecnici in camice bianco muniti di inquietanti fialette si alternano alle immagini di poveri pennuti - siano essi nobili cigni o umili galline - moribondi o condannati a morte. Il ministro della Salute Storace - che di salute visibilmente scoppia, nella sua floridezza - assicura che non c’è pericolo, che siamo protetti, che possiamo mangiare polli in tutta tranquillità. Senza dubbio le notizie di decessi umani sono remote, dubitative, pressoché leggendarie. A voler ragionare con calma risulta evidente che l’ingozzarsi di pollo è assai meno rischioso che mettersi in automobile per un week-end. Ma continuiamo serenamente a viaggiare in automobile, e invece il panico causato dall’aviaria ha falcidiato le vendite di pollame: una catastrofe economica, a quanto si apprende, con la perdita in Italia di trentamila posti di lavoro.
Personalmente - e credo che molti la pensino come me - sono combattuto tra la preoccupazione e lo scetticismo. Solo un incosciente potrebbe restare insensibile al grido di terrore che da tanti luoghi del pianeta si leva a noi. Le epidemie hanno accompagnato lugubremente la storia dell’uomo, alcune sorte in apparenza dal nulla, come l’Aids. Le cronache e i romanzi hanno dedicato loro pagine tra le più cupe e più alte della letteratura mondiale. L’incubo d’un morbo devastante e spietato è arrivato a noi dalla profondità dei millenni. Preoccupazione dunque, o più schiettamente paura: e l’immane riverbero mediatico che ogni notizia ora assume può solo ingigantirla.
Ma insieme alla paura, l’ho accennato, un certo scetticismo. Gli allarmi dileguano, spesso e volentieri, con la stessa rapidità dimostrata nel propagarsi. Ci si rammenta a malapena della mucca pazza, eppure l’abbiamo vista e rivista che barcollava, folgorata dal morbo, e poi si accasciava al suolo. Divieti, moniti, riunioni di Alte Autorità, consumo di bovini in caduta libera. Poi, se non di colpo almeno in breve tempo, il silenzio. La mucca pazza è andata in pensione. Sui tavoli dei ristoranti «fiorentine» a gogò. «Sic transit».
Analoga sorte è toccata alla macchia del Golfo - causata dal petrolio fuoruscito da una nave, se la memoria non m’inganna - che si profetizzava avrebbe contaminato tutti i mari e oceani: e che aveva per triste emblema un cormorano intriso di graveolente e appiccicoso liquido. Da un giorno all’altro la macchia è sparita, nessuno se n’è interessato più. Che dire poi dell’antrace? Vi fu un momento in cui pareva che qualsiasi busta recapitata negli Usa ma anche altrove fosse cosparsa d’antrace, se uno riceveva una busta che ne era priva significava che contava socialmente zero. Gli untori dell’antrace devono a un certo punto essersi stancati, o aver capito che la minaccia impressionava poco. Sta di fatto che l’antrace è uscito di scena come la mucca pazza e come la macchia del Golfo. La popolarità dei flagelli è a quanto pare effimera come quella d’una qualsiasi Lecciso.
Non oso dare a queste considerazioni una morale, perché la paura ha i suoi inconvenienti, ma li ha anche un cocciuto scetticismo. Ne seppe qualcosa il manzoniano don Ferrante. Il quale - mentre imperversava la peste - le opponeva una dialettica raffinata. «In rerum natura non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser nè l’uno nè l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera». Così ragionava don Ferrante.

E - cito il Manzoni - «su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle». L’aviaria, beninteso, non è la peste, da noi le sue vittime sono i polli. Basta aspettare qualche tempo e vedrete che se ne andrà a far compagnia ad altre calamità dimenticate.

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