Alessia lavora in centro a Torino, 41 anni e tre figlie, la maggiore di 14 anni e la più piccola di 7. Con un carico così importante, riesce a dedicare al lavoro sei ore al giorno, dal lunedì al venerdì. Qual è la particolarità? Il suo fatturato è uguale o superiore a quello di chi, invece, si impegna full time. Luca ha 38 e la mattina non ama svegliarsi presto. Per questo, al lavoro, non si vede mai prima delle 9.30 del mattino. Un limite? Neanche per idea. Ottiene comunque i risultati previsti dal ruolo di agente e, come se non bastasse, ha anche alcune mansioni nella gestione del personale. Infine, Francesco, 30 anni, a differenza di Luca preferisce uscire dal lavoro presto nel pomeriggio per dedicarsi alla moglie e ai suoi impegni personali. Anche nel suo caso, nonostante gli orari impiegati al lavoro siano ridotti, le performance sono più che soddisfacenti. Anzi, eccellenti.
Storie di ordinaria quotidianità che testimoniano come il mondo del lavoro stia pian piano cambiando: "Alessia, Luca e Francesco" spiega Stefano Mulas, Ceo di Titolare Top, scuola di formazione dedicata ai titolari di agenzie immobiliari con la quale ha aiutato centinaia di lavoratori a strutturare le loro agenzie, "fino a pochi anni fa non avrebbero potuto lavorare in questo settore. Poi, con il mio gruppo, e grazie all’esperienza come formatore che mi permette di vedere da vicino le dinamiche di tantissime agenzie immobiliari, ho capito che non sono importanti le ore di lavoro quanto i risultati che si ottengono. E dalla mia esperienza, che riguarda ormai quasi 500 persone, ho intuito che bisogna curare con attenzione il rapporto fra l'impegno in ufficio e l'impegno casalingo dei propri dipendenti. Chi è sereno produce di più. Per questo, abbiamo deciso di valutare le persone non guardando il cartellino da timbrare quanto, invece, i risultati che si ottengono e il loro senso di responsabilità. Un tempo lungo in ufficio non significa di per sé un alto rendimento. Con la passione e con la volontà, tipica delle donne, gli obiettivi si possono tranquillamente ottenere gestendo al meglio il rapporto fra le pratiche e la cura dei propri figli".
Un cambio di paradigma che è frutto anche di un nuovo fenomeno sociale. Negli Stati Uniti, la chiamano Great Resignation ed è l'espressione usata per spiegare come, dopo la pandemia, milioni di persone abbiano deciso di cambiare vita e di licenziarsi: "Uno studio di McKinsey - continua Mulas - ci dice che il 40% dei lavoratori, a livello mondiale, è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi 4-6 mesi, il 53% dei datori di lavoro ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti e il 64% si aspetta che il problema continui, o peggiori, nei prossimi sei mesi. Si tratta di un tema con il quale gli imprenditori dovranno fare i conti, da qui a breve, ed è per questo che abbiamo voluto anticipare i tempi. Liberalizzare gli orari, a parità di risultati, significa creare le condizioni per mantenere nel proprio organico lavoratori che, con il loro know-how, contribuiscono alla crescita dell'azienda. Un proverbio dice che tutti sono utili e nessuno è indispensabile ma, nel nostro settore, questo vale fino a un certo punto. I nostri dipendenti sono una risorsa e le risorse vanno curate nel giusto modo".
Un fenomeno sociale che, complice il Covid e lo smart working, sta coinvolgendo anche il nostro Paese. Nel primo semestre del 2022, sono oltre un milione le dimissioni volontarie di persone che, al momento della firma, non avevano alternative: "Questo vuol dire che le restrizioni della pandemia - sottolinea Mulas - hanno, nella loro tragicità, fatto scoprire un mondo diverso, e una differente gestione del proprio tempo. Ma non solo. Le motivazioni che spingono gli italiani a lasciare il proprio posto di lavoro è anche l'insoddisfazione, come se quei momenti così drammatici abbiano fatto scattare qualcosa, la voglia di inseguire i propri sogni e di non accontentarsi. Per questo, anche gli imprenditori devono cambiare logica e preparare il terreno per creare nuove condizioni, più positive. La prima arma da usare è di certo la formazione. Ha il potere di far accrescere le competenze dei propri dipendenti, di dare maggiore autonomia e di lanciare nuove sfide che spingono in alto quell'elemento essenziale che si chiama autostima".
La logica insomma è quella del win-win. Vince l'azienda che forma e vince il dipendente che accresce le proprie competenze e, quindi, la propria professionalità: "Senza dimenticare - conclude Mulas - l'aspetto economico. Gli sforzi dei propri dipendenti, che hanno voglia di formarsi e di crescere, vanno premiati con una giusta retribuzione. Per l'imprenditore non sono soldi buttati. Tutt'altro. Rappresentano un investimento.
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