Il baby ministro tutto dialetto e «scarpe sporche»

Luca Zaia «el xe un politego italian», dice di lui l’enciclopedia on line Wikipedia, che visto il personaggio gli dedica una voce in dialetto, trevigiano per la precisione. E il ministro che fu vicepresidente del Veneto e sarà, elettori permettendo, il primo governatore leghista della Regione, è uno che, potendo scegliere, pure le interviste le farebbe tutte in dialetto, non a caso è salito sul ring svariate volte per imporne ora lo studio a scuola ora la diffusione attraverso il piccolo schermo, meglio se con una Rai regionale: «La mea no le ’na bataglia in difesa de un dialeto, ma de ‘na lengua. Bataglia che porte avanti come omo politico, come ministro de la Repùblica Italiana e come veneto», ripete senza tradurre. Se è per quello però, non disdegna il latino, per farsi capire sotto il Po. La citazione che preferisce è quella pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto contro l’assedio di Annibale: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur», «mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata», là dove Roma è Roma, «il centralismo che divide», secondo un’altra citazione cara al ministro, e Annibale nelle ultime due grandi crociate leghiste è stata l’Europa, dalla Corte di Giustizia che ha vietato il crocifisso nei luoghi pubblici all’Ue sulle quote latte.
La migliore definizione di Luca Zaia l’ha coniata lui per se stesso: «Sono un ministro con le scarpe sporche di terra», ha detto il giorno dopo il giuramento. Il foto-film della sua vita conferma, ma ne restituisce un’immagine ben più eclettica. Lui chierichetto e lui che accende il falò al «panevin», la festa del solstizio d’inverno in quel di Treviso. Lui «rondista» quando ancora le ronde erano una roba da estremisti e lui che, presidente della Provincia, porta a pascolare gli «asinelli falcia-erba» ai lati delle statali. Infine lui, ministro, accucciato in giacca e cravatta in una porcilaia, fra le ghiande a un centimetro dai maiali all’urlo di: «L’influenza suina non fa paura».
È un enfant prodige della politica, Zaia. Classe 1968, madre casalinga e padre meccanico, «ma con ascendenze rurali» tiene a precisare, laureato in scienze della produzione animale a Udine, a 25 anni era consigliere comunale a Godega di Sant’Urbano, a 27 assessore provinciale all’Agricoltura, a 30 il presidente di Provincia più giovane d’Italia, a 37 vicepresidente della Regione, a 40 ministro per l’Agricoltura. Su tutto c’è un dato a contraddistinguerlo. Luca Zaia si diverte. Appena insediato al ministero gli toccò la grana del blocco delle esportazioni negli Stati Uniti del Brunello di Montalcino in seguito ad alcune partite con certificazione falsa. Lui presentò il governo quale garante del rinomato vino, poi volle una sigla pubblica del compromesso raggiunto, e fece un chiasso tale da guadagnare più risalto mediatico alla soluzione che al problema.
Da allora non ha perso occasione per far parlare di sé. Quando la Coldiretti protestava al Brennero in difesa del made in Italy, lui era in prima fila fra i manifestanti. Quando Foggia fu scelta quale sede dell’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, Zaia non disdegnò di punzecchiare il collega pugliese di governo Raffaele Fitto, mettendosi a capo di un esercito di deputati leghisti che al posto della città pugliese proponevano Verona, mica Parma. Quando, alla manifestazione Fieracavalli, dovette dire qualcosa sulla crisi del settore, non esitò a consigliare a tutta l’Italia di darsi all’ippica, suggerendo «un reality o una soap», anzi meglio, «un Grande Fratello dei cavalli: provate a pensare al parto delle cavalle, ai puledri, al cavallo che cresce e vince le corse o si rivela un brocco», con buona dose di irriverente e chissà se involontaria ironia verso i reclusi della «casa» del GF. Ma Zaia è così, pane al pane e, certo, vino al vino. Un leghista vecchio stampo, se pure più elegante di Gentilini e meno ruvido di Bossi. Nel 2006, dopo aver salvato un albanese che, in seguito a un incidente, era rimasto intrappolato in un’auto in fiamme, l’allora vicepresidente del Veneto rispose a un giornalista: «Non chiamatemi eroe, ho fatto quello che dovrebbe fare ogni cittadino, sono rimasto disgustato di fronte a chi ha tirato dritto». L’anno dopo era lui che tirava dritto, beccandosi una multa di 407 euro con ritiro della patente per eccesso di velocità perché sfrecciava a 193 chilometri orari sulla A27 e finendo in un ginepraio, non fosse altro che proprio lui aveva da poco istituito i Centri di guida sicura per l’educazione stradale: «Avevo un impegno di lavoro» si giustificò lui, però rilanciando: «Bisogna rivedere i limiti, sono anacronistici».


Alla voce azioni memorabili si annoverano le vittorie in sede Ue per le quote latte e per la denominazione Stg per la pizza napoletana, e non si dica che qui si mangia solo polenta. Titanica l’impresa del primo G8 agricolo della storia. Fu Zaia a volerlo a ogni costo. E lo volle a Cison di Valmarino. Per sapere dov’è chiedere ai veneti.

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