La base della Quercia in rivolta «È la sconfitta della sinistra»

Lettere dei militanti all’«Unità»: «Ci aspettavamo comportamenti diversi». Nel partito cresce il disagio

Luca Telese

da Roma

Si potrebbe partire ad esempio da Marco Travaglio: il suo Inciucio, il libro scritto per mettere in piazza gli scheletri della sinistra ha superato in questo Natale le 100mila copie di venduto. E il suo autore, che solo pochi mesi fa era inseguito dalle minacce di querela di Gianni Cuperlo e Claudio Velardi per la celebre frase sui collaboratori di D’Alema «entrati a palazzo Chigi con le pezze al culo per uscirne ricchi», adesso riceve da diverse sezioni dei Ds inviti a presentare il suo libro e a inviare via e-mail il celebre intervento al convegno del Teatro Vittoria.
La rinnovata attenzione del popolo della Quercia sul bestsellerista della Rizzoli (in particolare quando parla delle magagne della Quercia) è un piccolo grande segnale del tam tam carsico che sta accompagnando, a sinistra, la diffusione dei dettagli sul caso Unipol. Il punto di rottura del «cordone sanitario» ha una data precisa: è il giorno in cui i due amministratori del colosso rosso - Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti - si sono dimessi. E da allora che sulla redazione de l’Unità ha iniziato ad abbattersi una preoccupante pioggia di lettere vergate dai militanti diessini: non da qualche leader girotondino. No, è la mitica «base», preoccupata e scossa. La prima lettera è stata pubblicata tre giorni fa: nell’ultimo numero dell’anno ce ne erano addirittura tre, con tanto di numerino nel titolo, «Caso Consorte/1», «Caso Consorte/2», «Caso Consorte/3». Bene, dalla rossissima Forlì, il compagno Massimo Casadei si ripete sconfortato: «La sinistra è etica o non ha senso». E spiega: «Cara Unità, commentando la vicenda Unipol a Forza Italia gongolano: “È una sconfitta per la sinistra”. Verissimo». Non solo: «Negli ultimi anni, in piena crisi di valori, e incantati dalle meraviglie del mercato, in troppi dalla nostra parte hanno considerato i problemi etici e di coscienza come residui di un arcaico puritanesimo socialcomunista da superare in nome della modernità».
Poi amarissimo: «La sinistra o è diversa, oppure non la si distingue dagli altri, cioè non è. Allora perché il cittadino medio dovrebbe votare per qualcosa che non esiste?». E che dire della lettrice Anna Rita Santannera che scrive, affranta e indignata: «Cara Unità, sono iscritta ai Ds, socia di Coop Lombardia, e ho tre autovetture assicurate con Unipol». La signora Santannera spiega che dopo questo sforzo militante, che la accomuna a tanti altri iscritti si aspettava dall’Unipol «comportamenti diversi». E invece... «Invece scopri che l’Unipol fa cartello insieme ad altre compagnie per i premi assicurativi (vedi Antitrust di qualche tempo fa) per non parlare di quel che sta accadendo in questi giorni». E che dire di Maurizio Angelini di Cadoneghe, letteralmente sconcertato dall’autodifesa del manager rosso Giovanni Consorte per il conto corrente da 50 milioni di euro, e il suo ricorso alla scudo fiscale per far rientrare 5 milioni di euro fino ad allora clandestini? Il signor Angelini condanna senza appello questi comportamenti e poi conclude: «È un problema nostro spiegarci come mai, pur denunciando come scandalose le leggi berlusconiane quali falso in bilancio e rientro “blindato” dei capitali all’estero, affidiamo ruoli importanti di direzione a personaggi che ritengono legale aver applicato a se stessi le leggi vergognose concepite dal Cavaliere».
Raccontano al Botteghino che queste lettere iniziano a destare grande preoccupazione: chi scrive sono militanti doc, iscritti, lo zoccolo duro del partito. E la mole sta aumentando di ora in ora. Aggiunge Peppino Caldarola, deputato di sicura fede dalemiana: «Fino ad oggi, se dovevo quantificare l’impatto del caso sulla base avrei potuto essere tranquillo: ma da giorni lo stillicidio ininterrotto sta facendo breccia in alcuni strati molto sensibili del nostro mondo». Per le élite, invece, c’è il tambureggiare implacabile di Giuliano Ferrara, che da giorni parla di «tesoretto rosso», e sostiene che «la parola plusvalenza sia un termine aggiornato, e nemmeno chic per dire tangente. Un modo per avvolgere la pratica del finanziamento illecito nella grisaglia del lessico finanziario». Parole che in bocca ad un giornalista amico del «leader maximo» fanno male, e non poco: «Giuliano ha scritto una cazzata - si arrabbia Caldarola - forse perché applica i parametri a lui noti, quelli craxiani, a una realtà che non conosce». Sarà.

Ma intanto goccia dopo goccia il vaso si colma, Antonio Padellaro ricorda dal quotidiano della Quercia «Il dovere della diversità», e molti diessini leggono con sconcerto - solo su questo giornale - l’intercettazione in cui Piero Fassino chiedeva euforico a Consorte: «Siamo padroni di Bnl?». Difficile convincere i militanti, adesso, che il Botteghino non sapeva nulla.

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