Guantanamo, base americana sull'isola di Cuba.Uno spicchio di orrore tornato agli onori delle cronache nazionali e internazionali in occasione del raid Usa nel quale è stato ucciso Osama bin Laden, in quanto, secondo alcune fonti, da lì sarebbe partita la soffiata sul corriere che hanno portato sulle tracce del capo di al Qaeda in Pakistan. Le informazioni sono state strappate a detenuti della base-prigione di Cuba? La questione ha riacceso, in Usa, il dibattito sui metodi forti di interrogatorio, condannati da organizzazioni per i diritti umani e dalla stessa nuova amministrazione Usa, che ha deciso la chiusura del carcere per superterroristi.
In concomitanza con questo dibattito, torna in Italia anche lo spettacolo «Bad People in Guantanamo», in scena martedì prossimo al Teatro Quirino di Roma (grazie alla sinergia tra l'Accademia Teatrale di Roma «Sofia Amendolea» e la produzione «Le Nuvole Teatro»). Lo spettacolo, acclamato dal pubblico polacco, censurato in Bielorussia, applaudito nei teatri di Pristina (Kosovo) e Bratislava (Slovacchia), coinvolge e trascina il pubblico in una escalation di adrenalina (è vietato ai minori di 14 anni), rompendo l'indifferenza che induce lo spettatore a ritenere la pratica della tortura utile alla convivenza civile, anche se provoca sofferenze e morte.
Siamo nelle celle del campo americano di Guantanamo, ma potremmo essere in una qualunque sala di tortura in Egitto, Siria, Giordania, Yemen o Libia - solo per citarne alcuni - dove sette attori materializzano per la prima volta e con coraggio la storia vera di un gruppo di inglesi originari del Pakistan catturati con l'accusa di terrorismo e sottoposti a brutali torture fisiche e psicologiche per oltre due anni. Ne usciranno vivi e completamente scagionati ma irreversibilmente trasformati.
«Bad people in Guantanamo» è una storia reale, universale per la disumanità che porta in scena, raccontata in maniera grottesca, a volte assurda, così come è assurdo il dolore che scatena vendetta, l'odio che scatena atrocità, in un gioco perverso fatto di abusi e torture. «È come entrare in un tunnel buio che, fortunatamente per noi, inizia e termina con lo spettacolo», racconta un'attrice dell'Accademia Teatrale che, assieme ai suoi compagni, ha intrapreso un'intensa attività di documentazione sui fatti narrati e di ricerca emozionale sull'attore, con l'intento di trasformare in azioni fisiche gli stati mentali scaturiti dal lavoro sui personaggi.
Lo spettacolo, il cui ricavato sarà devoluto ad Amnesty International è dedicato a tutte le vittime di tortura. Alla fine tutti perdono, alla fine tutti sono carnefici, alla fine tutti sono vittime. Possiamo solo chiederci: perché?
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