Basta una mossa alla Hulk e Minguzzi diventa Ercolino

Il 25enne trova la vittoria a 30 secondi dalla fine: "E' stata un'azione disperata. E adesso per favore spegnete i registratori..."

Basta una mossa alla Hulk e Minguzzi diventa Ercolino

nostro inviato a Pechino
Da Pollicino a Ercolino sono passati vent’anni. Quello era Vincenzino Maenza, uno scricciolo che ti emozionava, un omino di ferro made in Imola, ma che faceva rima con Faenza dove abitava. Questo è Andrea Minguzzi, 25 anni, nome da chansonnier piuttosto che da lottatore, un bello per i reality, un altro poliziotto che illustra queste nostre Olimpiadi, piace alle donne e sprigiona la forza di mister muscolo. Emiliano, ma di Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, figlio della scuola di Maenza, ma ormai avviato a una contaminazione con quella siciliana. Catania e Imola sono i due poli italiani della greco–romana che raggruppa circa 5000 tesserati.
Maenza è stato un maestro per Minguzzi, ma ora ci deve essere un po’ di freddo se l’allievo dice del maestro: «È stato un grande, non riuscirò ma a raggiungere i suoi risultati, ma la mia categoria è molto più difficile». Quello là combatteva fra i 48 kg, questo fra gli 84 kg. E ieri Minguzzi gli ha detto: fatti più in là, facendo volare per aria Zoltan Fedor, un ungherese con il quale ogni tanto incrocia la forza anche in allenamento. Lo ha demolito con una mossa che si chiama «stacco con proiezione», che sa tanto di cinematografico quando un terribile Hulk solleva un poveretto da terra, lui sgambetta e l’altro lo lancia in aria. Così è stato. «Era la mossa della disperazione, a 30 secondi dalla fine. Sennò avrei perso», ha raccontato mister muscolo mentre una signora, che si è fatta la fama nel Costanzo show, traduceva in inglese per gli incuriositi giornalisti stranieri. E lui a raccontare: «Mio papà praticava questo sport, poi ha aperto una palestra a Mortano, vicino a Imola. A sei anni i primi allenamenti, tutta la mia vita a pane e lotta. Il resto nella polizia. Ho vinto due bronzi agli europei. Ho sognato tanto questo momento, sono venuto qui in formissima, per vincere una medaglia. A volte i sogni si avverano davvero. Ed ora dedico tutto ai miei genitori».
La mamma, Becca Celestina sillaba lui, è venuta a Pechino, il papà no. «Vedendomi gli sarà venuto l’infarto». Il bacio del vincitore dedicato a tre donne che stavano lassù, in tribuna: la mamma, la sorella e la mamma di un’amica. Fratelli d’Italia è stato il suo ritornello di successo, l’ha cantato tutto, come pochi sanno. «Gliel’ho insegnato stanotte» sostiene il suo allenatore. «Ma cosa dici? Ho fatto un corso di sei mesi alla polizia», ribatte lui, lasciando tutti nel dubbio su chi abbia ragione. Straripante, nella simpatia che non è goliardia. Riservato. «Spegnerei i vostri registratori e tornerei a casa, sono imbarazzato». Legge i libri di Camilleri. Sincero. Dice di attendere con impazienza il premio dei 140mila euro. Ma non si aspetta una Ferrari come la Pellegrini... Sottinteso: senza pretendere tutti ai loro piedi, come quelli là. Parole e sentimenti sono di Gianni Petrucci, il presidente del Coni che ieri si è quasi commosso nel ripescare il senso casereccio dello sport italiano.
L’universo della lotta greco-romana ha riscoperto i momenti d’oro di Maenza, vissuti a Los Angeles (1984) e Seul (1988). Tutto cominciò con Enrico Porro, fustacchione milanese, baffetti alla Clark Gable, una cascata di medaglie sul petto nelle foto d’epoca, che conquistò il successo a Londra (1908) quando le riprese erano due e duravano 15 minuti o andavano ad oltranza. Oggi tutto è ridotto a tre riprese di due minuti l’una.
Nella greco romana ci si avvinghia, ci si ribalta, ci si prende da sotto e da sopra, talvolta con pose sconvenienti. Bisogna esser atleti abituati alla sofferenza psicologica e fisica, alle diete, alle saune. Minguzzi lotta negli 84 kg, ma il peso naturale è intorno ai 90. Come Pollicino che doveva rientrare nei 48 kg, anche Ercolino deve soffrire e sudare per buttare giù quei sei chili nell’ultimo mese di allenamento.

Ne è valsa la pena e pazienza se quell’armeno-svedese battuto in semifinale ha insinuato di esser stato derubato, gettando via la medaglia. «Mi ha rovinato la festa. È antisportivo», sentenzia. Ma poi alza le spalle. Vola via il pensiero, come quell’ungherese cappottato sul tappeto.

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