«Basta parrucchieri abusivi» Così la Regione ci dà un taglio

CONSEGUENZE Negozi chiusi tre mesi alla prima violazione, licenza ritirata se l’infrazione si ripete

Spuntano ovunque, come funghi, in ogni città. I parrucchieri cinesi e i negozi gestiti dagli stranieri fanno concorrenza spietata ai commercianti lombardi. Senza rispettare norme di igiene né regole sindacali. Nemmeno lontanamente. Per questo in Regione Lombardia è stato messo a punto un regolamento contro la concorrenza sleale, «specie se asiatica». Il testo del provvedimento, ora sulla scrivania dell’assessore lombardo all’Artigianato Domenico Zambetti, è pronto per essere discusso dal Consiglio regionale ed entro la fine del mese sarà legge.
Linea dura contro chi non è in regola: se il negozio non supera il primo controllo dell’Asl sulle norme igienico sanitarie, sarà costretto a rimanere chiuso per tre mesi. E se non supera nemmeno il secondo controllo, nell’arco di tre anni, chiuderà i battenti per sempre, con tanto di revoca dell’autorizzazione (se c’è). In questo modo si cerca di mettere ordine in una vera e propria giungla, fatta di una miriade di parrucchieri cinesi con nomi simili che aprono e lavorano in una quartiere per un anno, poi spariscono e ricompaiono con la stessa insegna nell’altro capo delle città. Quasi tutti con lavoranti sottopagati, costretti a restare in negozio per dodici ore al giorno, lunedì e festivi compresi, e spesso a dormire nel retrobottega.
Solo a Milano, su 2.500 parrucchieri, trecento sono stranieri (per lo più cinesi) e di questi appena il 15 per cento è iscritto all’albo dell’artigianato e regolarmente registrato. Il resto fa da sé, come se non esistesse nessuna legge da rispettare. Stessa proporzione in provincia di Milano, dove gli acconciatori sono 4.500, e in Lombardia, dove i negozi di parrucchiere sono in tutto 14mila. Anche i prezzi dei cinesi sono del tutto fuori mercato: sette euro per una messa in piega, contro i 18-20 euro di un parrucchiere italiano. Ovviamente, i dubbi sulla qualità dei prodotti utilizzati non mancano e anche su questo fronte verranno fatte verifiche capillari, senza eccezioni. Se le bottigliette di balsamo e shampoo non avranno i marchi della certificazione, verranno sequestrati immediatamente. Saranno banditi i prodotti non regolamentari o di dubbia provenienza e tutta l’attività dovrà svolgersi in assoluta trasparenza.
«Con questa legge - spiega Zambetti - renderemo più rigorosi ed attuali i requisiti per l’esercizio della professione di acconciatore in tutta la regione». In sostanza, il procedimento Diap (dichiarazione di inizio dell’attività produttiva) diventerà più restrittivo. Un giro di vite necessario contro i furbetti che hanno portato via il lavoro agli altri parrucchieri cercando di raggirare le regole e di bluffare. Il provvedimento è già stato discusso con le associazioni di categoria, compatte nella lotta contro l’abusivismo.
«È importante sottolineare - aggiunge l’assessore Zambetti - che dai prossimi mesi il giro di vite riguarderà non solo parrucchieri stranieri ma anche titolari di impresa italiani che cedono la propria attività ma ne rimangono responsabili tecnici. In questo modo contribuirebbero a coprire i nuovi imprenditori, non qualificati. È una scorciatoia che non ci piace e che danneggia l’artigianato lombardo».


I parrucchieri italiani esultano: la maggior parte di loro ha perso parte della clientela e non è riuscita a «combattere» con le stesse armi dei cinesi: «Va bene fare sconti sulla piega - sostiene la titolare di un negozio in corso Lodi a Milano - ma chi è in regola deve rispettare certi parametri di qualità e rientrare in certi costi».

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