Battaglia a Jenin, ucciso leader di Al Aqsa

Successo di Fatah, il partito del presidente Abbas, nelle elezioni in Cisgiordania. Ma Hamas conquista 28 seggi

Gian Micalessin

L’operazione «Prima Pioggia» non si ferma. L’esercito israeliano continua la sua offensiva, incurante dell’impegno di Hamas e Jihad islamica di metter fine al lancio di missili dalla Striscia di Gaza. Anche perché i lanci non sono ancora cessati e, non più tardi di ieri, due colpi di mortaio hanno colpito una base militare adiacente alla Striscia. Nel mirino d’Israele ci sono ora i militanti dei gruppi armati in Cisgiordania. L’ennesima retata per catturare un gruppo di ricercati della Jihad islamica si è conclusa con l’uccisione, poco prima dell’alba, di Samer Saadi, comandante delle Brigate Martiri di Al Aqsa a Jenin, e di due militanti della Jihad nel vicino villaggio di Burqin. Saadi è stato ucciso mentre partecipava ai combattimenti contro i militari israeliani impegnati nei rastrellamenti.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha immediatamente condannato le incursioni avvertendo che «l’escalation rischia di compromettere l’intero processo di pace». E Zakariya Zubeidi, responsabile del braccio armato di Fatah per tutto il nord della Cisgiordania, ha annunciato la fine degli accordi di tregua. «Gli israeliani non hanno tenuto fede al loro impegno per il cessate il fuoco e quindi anche noi siamo liberi di rispondere con durezza», ha detto Zubeidi.
Il presidente palestinese Abbas, chiedendo agli israeliani di fermare i raid, ha ricordato l’impegno di tutte le fazioni a rispettare il decreto entrato in vigore ieri che vieta alle milizie di portare armi in pubblico. A Gaza il capo della polizia Ala Husni ha annunciato di aver fatto già arrestare tre militanti accusati di non aver rispettato il divieto. Secondo Husni dopo il ritiro israeliano non vi è più alcuna necessità di girare armati. «Le armi della resistenza non hanno più alcun ruolo nelle nostre strade. Devono tornare nei depositi e non venir più esibite in pubblico, ogni loro esibizione è ora un atto criminale».
Ieri, nonostante il clima di tensione si è svolto - in 82 tra villaggi e cittadine palestinesi della Cisgiordania - il terzo round di elezioni municipali dopo le prime due sessioni svoltesi a dicembre e a maggio. I 144mila palestinesi andati alle urne ieri potranno, a differenza dello scorso maggio, quando si votava solo per candidati individuali, scegliere anche tra diverse liste partitiche. Dunque fa il suo esordio la competizione diretta tra Fatah e i fondamentalisti di Hamas. Già in questo turno di voto Al Fatah, il partito di Abu Mazen, è in testa in 61 delle 104 località della Cisgiordania in cui si è votato, mentre Hamas si è aggiudicata 28 consigli. Alle elezioni del prossimo gennaio per il rinnovo del Parlamento Hamas potrebbe, secondo alcuni sondaggi, conquistare il 30% dei seggi in Cisgiordania e ottenere risultati anche più rilevanti a Gaza.
In Israele il premier Sharon ha intanto smentito le voci di una possibile annessione di territori palestinesi diffuse ieri da un suo consigliere. Secondo queste voci Sharon sarebbe pronto a ritirarsi da altri territori della Cisgiordania, ma anche a definire unilateralmente i confini e annettersi i territori rimanenti se i palestinesi non rispetteranno le condizioni per il ritorno alle trattative di pace.

Sharon ha poi ricordato e confermato la propria incondizionata adesione ai negoziati previsti dalla road map: «Si sono diffuse delle voci secondo cui Israele starebbe considerando altri progetti. C’è un solo piano e resta quello previsto dalla road map».

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