«Beffe dai giudici Vi racconto i guai di un guardasigilli»

Roberto Castelli, ex Guardasigilli, sulla giustizia lei ne ha da raccontare.
«Partiamo da un equivoco. La gente pensa che il ministro della Giustizia sia il capo dei magistrati e che quindi possa dare indirizzi su come devono lavorare, su cosa devono fare e su come devono organizzarsi».
Niente di più falso.
«Assolutamente, perché la nostra Costituzione ha creato una magistratura che di fatto non risponde alle leggi dello Stato italiano».
Addirittura.
«Mi spiego. È vero che il magistrato risponde soltanto alla legge, come dice la Costituzione, ma siccome poi la legge la interpretano i magistrati stessi, alla fine la magistratura diventata un’enclave all’interno dello Stato».
Una casta che si autogoverna.
«Esattamente. E il ministro non ha che pochissime armi per intervenire. Ha il potere ispettivo, ma è solo di bandiera, perché gli eventuali procedimenti disciplinari che scaturiscono dalle ispezioni vengono poi gestiti dal procuratore generale e dal Csm. Cioè si autogiudicano».
Il Guardasigilli come il due di coppe.
«Io lo dico da tempo: un sistema autoreferente prima o poi degenera. E nella magistratura la degenerazione è stata che il Csm non è più organo di autocontrollo ma di autodifesa. Bisogna spezzare il cerchio».
Ma come?
«Siamo l’unico Paese al mondo in cui il procuratore è completamente avulso dal sistema politico. Almeno bisognerebbe costruire una sezione disciplinare che sia al di fuori della magistratura. È una riforma costituzionale indispensabile. Altrimenti il ministro è uno che si agita ma non ha il minimo potere».
Quando ripensa ai suoi anni da Guardasigilli lei si sente un frustrato.
«Ma guardi che è il ricordo di tutti i ministri della Giustizia. Ho provato a cambiare le cose, ma si sbatte contro un muro. Ho tentato di introdurre il manager dei tribunali, è inutile che il magistrato gestisca gli ascensori, l’acquisto della carta, del gasolio ecc».
Neanche a parlarne.
«Niente, cancellato da Mastella. Siccome sanno di essere un’enclave, non tollerano la minima, presunta, intrusione».
Intoccabili.
«Si gestiscono da soli, con i risultati che si vedono. Non hanno una cultura organizzativa. Quando ho cercato di mettere in piedi un sistema di valutazione dell’efficienza degli uffici giudiziari, mi hanno messo sotto processo immediatamente...».
Parla del procedimento della Corte dei conti per le consulenze al suo ministero?
«Sì, quel procedimento...».
Una vendetta?
«Questo non lo dico... Diciamo, un segnale verso qualcuno che era andato a vedere nei loro affari, per fargli capire di stare molto attento... Quando Bossi mi chiese di fare il ministro della Giustizia aggiunse: “Ricordati che finirai in galera”».
Una volta lei ha detto: «So io cosa significa guidare quel ministero...» Ma che le hanno fatto?
«Cose anche abbastanza curiose. Magistrati che si fanno beffe del ministro».
Di lei.
«Una volta un magistrato fece una sentenza a mio parere abnorme, perché assolveva dei vu’ cumprà che vendevano merce contraffatta, dicendo che agivano in stato di necessità. Ho avviato un procedimento disciplinare».
Risultato.
«Non solo il Csm ha dato ragione al magistrato, ma poi sul suo sito internet mi ha pure sbeffeggiato...».
Cornuto e mazziato.
«E di cose di questo tipo se ne potrebbero raccontare più d’una. Come i proclami pesantemente faziosi, da sinistra, da parte di certi magistrati. Cose gravi, perché inficiano l’idea di una magistratura super partes. Caso classico di intervento disciplinare».
Ovviamente senza un nulla di fatto.
«Sempre tutti assolti, qualsiasi cosa dicessero, perché farebbe parte della loro libertà di pensiero. E anche lì il ministro deve subire».
Un mestieraccio.
«Il ministro dovrebbe almeno poter intervenire sull’organizzazione degli uffici, che è pessima, come dimostrano i milioni di processi arretrati. Ma non bisogna addossare tutte le colpe ai magistrati. Ci sono altri problemi. Come quell’altra sciagura, l’obbligatorietà dell’azione penale. E poi molte norme assolutamente farraginose. Andrebbe ripreso il lavoro sul Codice penale fatto dalle commissioni Grosso, Nordio e Pisapia».
Se esiste una magistratura politicizzata, allora serve l’immunità anche per i ministri?
«Per parlare di questi temi forse ci vorrebbe una politica più forte, insospettabile, forse dovremmo darci prima un codice etico. Però, siccome i ministri sono anche parlamentari, si potrebbe ripristinare un articolo 68 serio...».
La vecchia immunità parlamentare?
«Sì, ma in forme nuove».
Ma nel ’93 fu la Lega tra i primi a chiederne l’abolizione.


«Allora c’era la necessità di abolirla, perché serviva a difendere i mariuoli. Ora invece la si può ripensare. Ma ripeto, dobbiamo essere come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. E oggi temo che non tutti lo siano».

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