Bene, in Aula ha vinto il garantismo

Nulla da eccepire sul voto con cui la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione all’arresto di Milanese. Ma resta il disagio degli elettori

Bene, in Aula ha vinto il garantismo

Non ho nulla da eccepire sul voto con cui la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione all’arresto di Marco Milanese. Mi sembra anzi che quel voto sia stato una risposta sensata ai troppi contenuti e significati politici di cui il voto era stato caricato. Restano le perplessità per la diversità del trattamento riservato da una parte ad Alfonso Papa, tuttora detenuto a Poggioreale, e da un’altra parte a Milanese e al senatore Tedesco del Pd. I verdetti delle assemblee sono soggetti a variabili politiche e partitiche di difficile decifrazione.
È bene, dunque, che Milanese attenda in libertà l’esito della vicenda che lo coinvolge: fermo restando il disagio per le prevedibili e immancabili lentezze procedurali con cui questa vicenda, come innumerevoli altre, si aprirà il cammino nella giungla giudiziaria. Meno bene, a mio avviso, è una certa reazione del Palazzo all’episodio riguardante l’ex braccio destro di Tremonti. M’è parso d’avvertire, in alcuni commenti e in alcune dichiarazioni, un eccessivo trionfalismo per la rivincita non d’un singolo ma dell’istituzione parlamentare dopo le troppe e - si vuole - inique critiche cui è stata assoggettata. Il tono dei revanscisti è un po’ quello di «finalmente la verità emerge, la democrazia è salva».
Credo debba essere detto con molta risolutezza, per evitare equivoci, che questa interpretazione del «caso» è arbitraria. Il deputato milanese ha evitato il carcere, ma la disistima del popolo nei confronti di chi dal popolo stesso è stato eletto rimane tale e quale. Non ci sono state e non ci saranno manifestazioni di spontaneo giubilo per la libertà di Milanese, così come non ci sono stati segnali di particolare afflizione per la detenzione di Alfonso Papa. I privilegiati - per indennità e benefits - di Montecitorio e di Palazzo Madama godono d’un discredito generico - e come tale non sempre ragionevole - che tuttavia è stato da molti ampiamente meritato. Il rammarico popolare - sommario e ingiusto fin che si vuole - non è per l’arresto e l’incriminazione di parlamentari, è per i troppo scarsi arresti e incriminazioni di parlamentari.
Si tratta d’un sentimento spesso rancoroso e livoroso, lo riconosco. Ma non è che quel sentimento sia nato per volontà d’un destino cinico e baro, è nato per i comportamenti - ossia per le scostumatezze - di una nomenklatura troppo spesso incapace e avida. Paolo Guzzanti - che è deputato oltre che brillante giornalista - deplorava ieri su queste colonne che il popolo «sia stato rieducato a dosi massicce di odio e ad applaudire gogne, forche e galere preventive». Non si può ammettere, insisteva Guzzanti «la messa in stato d’arresto virtuale e occasionalmente materiale del parlamento facendo leva sull’impatto di intercettazioni».
L’abuso di intercettazioni che poco hanno a che fare con i reati è intollerabile. Ma la diffidenza che avvolge i parlamentari, tanto da indurli ormai a non esibire la loro qualifica d’onorevoli per evitare gestacci, non è derivata unicamente dalle intercettazioni. Se la sono conquistata sul campo, i deputati e i senatori, con le loro miserie per rimpinguare la busta paga, con il loro assenteismo, con le loro inutili, costose e continue «missioni» in Paesi lontani, possibilmente favoriti da un buon clima. A tutto si può porre rimedio, tranne che alla morte. Si può porre rimedio anche all’ostilità di tanta gente verso il Parlamento. Ma bisogna che la rimonta i deputati e i senatori se la guadagnino.

Non basta certo, per agevolarla, un voto apprezzabile ma che rimane una faccenda interna di Montecitorio, cane non mangia cane. Si è forse sulla buona strada con le prime approvazioni alla riduzione del numero dei parlamentari. Ma, come è stato scritto da un buontempone su una t-shirt regalata a Nicole Minetti, non credo se non vedo.

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