Bentornati Giochi trionfo delle emozioni

Ogni quattro anni. Ancora: ogni quattro anni. Sempre, all'infinito. Le Olimpiadi non stancano. Come fai ad annoiarti delle emozioni? Questa è la forza dei Giochi

Bentornati Giochi trionfo delle emozioni

Ogni quattro anni. Ancora: ogni quattro anni. Sempre, all'infinito. Le Olimpiadi non stancano. Come fai ad annoiarti delle emozioni? Questa è la forza dei Giochi. Trovi sempre una chiave: Londra ha la crisi. Austerity, recessione, difficoltà, crac: scegli il dosaggio e vai. Queste sono le Olimpiadi di un mondo depresso. Poi una sera nello stadio Olimpico, nella piscina, nel palazzetto dello sport, accadrà qualcosa che farà pensare solo e soltanto a quello: l'emozione. Sì, la forza dei Giochi. Esserci, nonostante tutto. Farti gioire, nonostante tutto. Farti soffrire, nonostante tutto. Due settimane: 27 luglio-12 agosto, si comincia piano, si arriva sfiniti. Si parte con lo spettacolo della città, che vuole essere sempre migliore di quella precedente. Si finisce con la colossale carovana che non vuole smontare. Perché l'adrenalina che lascia un'Olimpiade è la droga che non ti fa assuefare.

Non ci si fa l'abitudine, mai. È la magia della distanza: quattro anni sono il tempo giusto per svuotarti tanto da volerti riempire di nuovo. Se l'avvicinassero, se commettessero l'errore di dimezzare il periodo tra un'edizione e l'altra, sarebbe la fine. Ogni quattro anni, appunto. Perfetto. Un doppio passo, ha scritto qualcuno. Un uno-due, doppio. Con il consueto canovaccio: le città sembrano sempre troppo precarie per ospitare una macchina così complicata, poi il giorno dell'inaugurazione tutto va a posto. Alla fine tutte non sanno che farsene di ciò che hanno costruito. Londra non fa eccezione: siamo in pieno delirio olimpico. A due giorni dall'inaugurazione i lavori non sono ancora finiti del tutto, c'è l'ansia da terrorismo, c'è l'incertezza sull'adesione del pubblico e c'è già chi dice che dal 13 agosto tutto questo make up che s'è fatto la città lascerà lo stesso alone di tristezza che lascia il mascara sul viso delle signore dopo un pianto. Eppure quelle due settimane di gara cancellano tante cose. Le imperfezioni e persino i tentativi di perfezione. Per gli atleti che gareggiano, per gli organizzatori che allestiscono, per i media che raccontano, per gli spettatori che guardano le Olimpiadi sono il massimo.

L'atleta americano Donald Bragg ha spiegato meglio di chiunque altro che cosa voglia dire quella bandiera coi cinque cerchi, quella sospensione spazio-temporale di quindici giorni, quella vita oltre la vita che sono i Giochi: «Quando mi dicono che c'è qualcosa di più oltre le Olimpiadi rispondo: “Davvero?”». Bragg vinse l'oro a Roma nel salto con l'asta. Non ha un posto nella storia, non è un mito dello sport, non è miliardario. Lui è la sintesi di quel concetto: ogni quattro anni. L'Olimpiade ti fissa per un momento nella memoria, poi procede ma ti lascia dentro la sua magia. La sua bellezza è raccontare le vite di giovani uomini e donne che poi spariscono. Perché uno su troppi diventa mito: Jesse Owens, Nadia Comaneci, Pietro Mennea, Carl Lewis, Sergey Bubka, Valentina Vezzali, Michael Phelps, Stefano Baldini, Usain Bolt. Una manciata tra molti. Le Olimpiadi sono loro, così come lo sono le meteore che passano. I mille Bragg che riempiono quei quindici giorni ogni quattro anni. Dicono: bisognerebbe valorizzare di più gli sportivi olimpici invece che svenarsi per calciatori o tennisti professionisti. Errore. L'Olimpo è dei Carneadi che scompaiono senza scomparire. Li cercheremo anche stavolta, noi italiani: aspettiamo la Vezzali, la Pellegrini, le ragazze della pallavolo, tutti pronti però a impazzire per un ragioniere fenomenale con il fucile del tiro al piattello o per un bancario unico con l'arco. Scopriremo nomi e storie, riconosceremo facce mai viste prima e che difficilmente vedremo ancora. Fratelli e sorelle d'Italia, gente comune che si mescola ai grandi dello sport. Ci sono loro, ci siamo noi.

Londra è pronta, adesso. Nessuno saprà mai quanto avrà speso. Nessuno saprà mai se sarà sicura davvero. C'è il rischio del flop e c'è il rischio dell'attentato. Le Olimpiadi contemplano questo ogni volta. Fa parte del loro patrimonio genetico. La specificità di ogni edizione è un dettaglio. A Pechino era la voglia della Cina di mostrarsi al mondo. A Londra sarà la voglia di buttarsi oltre la crisi. A cavallo tra passato e futuro. Tutto quello che nessun'altra manifestazione può raccontare: in gara ci saranno tre generazioni. Si va dai quindici anni delle ginnaste ai settantuno di un cavaliere giapponese. Tutti atleti. L'importante è partecipare è una balla fatta e finita: alle Olimpiadi vuole vincere anche chi non ha nessuna possibilità. Perché questa è la sfida dello sport: provare l'impossibile. Londra sarà un pezzo d'Italia, così come un pezzo di tutti i duecento Paesi che partecipano ai Giochi. Più di qualunque società delle nazioni antica o moderna. La politica c'entra sempre alle Olimpiadi.

Però le Olimpiadi non sono politica. Lo sport, punto. Con quello che muove e con quello che crea. Il resto è una conseguenza: bello, brutto, vittoria, sconfitta, gioia, dolore. Emozioni. Ogni quattro anni. Di più non si può.

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