Berlusconi: mi vuole soltanto distruggere. La Lega furente: voto più vicino

Dice alcune cose e il loro contrario. E tace su molto, troppo per essere credibile. L'atteso discorso di Gianfranco Fini, pronunciato ieri a Mirabello, lascia le cose come stavano. Nel senso che adesso sono chiari e ufficiali i motivi della rottura. La politica non c’entra. Semplicemente Fini odia il Pdl («non c’è più, è morto», dice con soddisfazione), odia Silvio Berlusconi («si comporta come il capo della Standa»), odia Bossi («la Padania non esiste») odia il ministro Tremonti e suoi «tagli orizzontali», disprezza i suoi ex colonnelli che non l'hanno seguito, e ai quali non riconosce la libertà e il diritto al dissenso che invoca per se stesso. E odia i giornali «fogli d’ordine infami» che hanno sollevato la questione della casa di Montecarlo e degli appalti Rai ai suoi familiari.
Se il Pdl, nella testa di Berlusconi, doveva diventare il partito dell'amore, Futuro e Libertà nasce come partito dell'odio, figlio di una frustrazione personale nata il giorno dopo la fusione di An con Forza Italia. Troppo ampio era il divario tra le forze elettorali dei due partiti, troppa la differenza di carisma e capacità tra i due leader, per realizzare il sogno inconfessato di continuare a comandare e disporre come ai vecchi tempi. Fini non ha accettato di essere minoranza e ieri ha messo in scena una infame, questa sì, ricostruzione storica che non sta in piedi. A sentirlo, pareva che il Pdl fosse stata una sua idea anche se in realtà ai tempi l'aveva bollata come «comica finale» salvo ripensarci per opportunismo, che lui fosse il faro del liberismo italiano, dimenticando che ha smesso di fare il saluto fascista non molto tempo fa e su consiglio di Berlusconi. In sostanza ha detto che senza di lui quel fesso e illiberale del Cavaliere non sarebbe andato da nessuna parte.
È infame (usiamo l'aggettivo che lui ha usato nei nostri confronti), chi tradisce qualcuno (lui ha tradito il Pdl e i suoi elettori), è infame chi non dice la verità. E Fini ha avuto quantomeno molte amnesie. Ha paragonato i partiti di Berlusconi alla Standa, ma non ha detto che in quel grande magazzino lui e i suoi ci sono stati benissimo per diciassette anni, durante i quali non gli sembrava vero di essere usciti dalla bottega del Msi e di partecipare al grande shopping(...)
(...) di governo: deputati, ministri, stipendi, benefit, ricchi premi e cotillon tra i quali, per lui, la presidenza della Camera.
Ha detto che il Popolo della libertà non c’è più. Ma non ha annunciato la creazione di un nuovo, suo partito. È un po' da infami rimanere con chi ti fa schifo per opportunismo contingente, per non avere il coraggio di andarsene e affrontare le elezioni. Dice che farà la terza gamba della maggioranza, ma a che titolo? Berlusconi è a capo del Pdl, Bossi della Lega. Per lui una corrente (Futuro e Libertà) è uguale a un partito, e giocherà con i suoi deputati e senatori a ricattare la maggioranza. Dice che si andrà avanti senza ribaltoni o cambi di campo, ma non c’è da credergli. Le dichiarazioni sue e dei suoi uomini, i fatti degli ultimi mesi dicono esattamente il contrario.
Del resto, che non ci sia da fidarsi, è dimostrato anche dal fatto che anche ieri ha taciuto sulla casa di Montecarlo. O meglio: ha liquidato l’inchiesta del Giornale come un’infamia, che la magistratura chiarirà tutto, non ha fatto cenno alla sua richiesta, da vero liberale, di licenziare i direttori dei quotidiani a lui sgraditi. Chi usa l’insulto è perché non ha argomenti, perché non può dire la verità. Ci voleva poco a spiegare dei soldi, dei paradisi fiscali, del cognato. Ma l'uomo non ha coraggio, e neppure il senso del ridicolo. Lo ha dimostrato pochi minuti dopo, quando rispolverando l'antica retorica ha detto che per i politici ci vorrebbe un codice etico perché la loro attività non deve rispondere solo ai codici penali. Evidentemente, nella sua testa, l'etica si ferma a Ventimiglia, quello che accade in Costa Azzurra sono solo affari suoi.


E l'ultima infamia di Fini è non aver detto che, coerentemente con la sua analisi, domani mattina si dimetterà da presidente della Camera essendo diventato leader di uno schieramento politico ostile alla maggioranza che lo ha eletto in quella carica. Ha ragione Di Pietro che a caldo, poco minuti dopo la conclusione del discorso, ha commentato: Fini, non fare il furbo, che qua nessuno è fesso.

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