Dicono che Bersani non si sia mai sentito così solo. Ormai si è convinto che fare il segretario del Pd significa prendere schiaffi sull’una e l’altra guancia, dai piddini di destra e da quelli di sinistra, da Veltroni e da Fassina, da chi vede finalmente uno straccio di riforme e da chi pensa che il governo sia una boiata pazzesca. L’ultima tegola che gli è caduta in testa è il colloquio di tre ore tra il Cav e il Professore. Tutto il tempo a pensare: chissà che si sono detti? Ma soprattutto il terrore che alla fine il futuro dei tecnici gli sfugga di mano, tanto da vederseli candidati da qualche altra parte. Insomma, il dubbio feroce di aver scommesso sul cavallo degli avversari. Quando poi ha sentito dire da Berlusconi che lui, il capo del Pdl, non avrebbe fatto cadere Monti neppure in caso di condanna sulla questione Mills, ha perso ogni speranza di uscire da questa situazione urticante. Bersani non poteva immaginare che il Cavaliere lontano dal governo avrebbe avuto più libertà e capacità di movimento. Quella che doveva essere la vittoria del Pd assomiglia a una rivincita dell’ex premier. La beffa in fondo è qui.
Tutti parlano come Berlusconi. Da quando il Cavaliere non è più a Palazzo Chigi sta accadendo uno strano fenomeno, una sorta di incantesimo o, per gli anti Cav di origine controllata, un inaspettato sortilegio. Le parole e le tesi di Berlusconi che prima venivano accolte come bestemmie ora sono merce senza scandalo. Monti realizza buona parte dei progetti del vecchio governo, con in più un carico di tasse che ancora fa tremare le mani. Veltroni diventa il paladino della riforma del mercato del lavoro, passa sull’articolo 18 come se la Cgil non fosse mai esistita e denuncia la sinistra ultraconservatrice e ideologica. Casini immagina la casa di tutti i moderati, pensa a un grande contenitore dove soggetti politici affini trovino la propria identità. Sembra il famoso discorso del predellino del Cav, ma non bisogna dirlo e fare finta che sia un’altra cosa. L’importante in questi casi è crederci.Perfino Emma Marcegaglia, che per tutto il governo Berlusconi sembrava una pasionaria della Fiom, ora riscopre che la Camusso non è la sua alleata naturale. Bersani si guarda intorno e l’unica sponda non gli piace.
Vede Vendola e Di Pietro, vede la Cgil e si ritrova ancora una volta in retroguardia, con la prospettiva di dover difendere l’articolo 18, come accade al Pci con la scala mobile nell’era Craxi.Bersani costretto a morire da conservatore, paladino inconsapevole dello status quo. Altro che terza Repubblica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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