Bertinotti ai Ds: niente patti con Forza Italia

nostro inviato a Strasburgo
Già la stretta di mano di martedì, prima del corteo anti-Bolkestein, era stata tiepidina se non proprio fredda. Ieri erano appena una decina i passi che li separavano davanti all’aula dell’Europarlamento, ma tra i due erano in tanti a vedere un autentico muro di ghiaccio. «Io ho partecipato a una manifestazione dei sindacati europei che ci hanno detto di essere soddisfatti del compromesso raggiunto, tanto che hanno chiesto un incontro col Ps per dircelo!» ringhiava Massimo D’Alema a chi gli faceva osservare che Bertinotti aveva sparato a zero contro l’intesa popolari-socialisti. Il segretario di Rifondazione, col solito tono pacato, ribatteva poco più in là: «Una brutta storia questo accordo tra centrodestra e centrosinistra perché alle spalle del Parlamento e in aperto contrasto con la manifestazione di martedì che era contro la filosofia della direttiva, a cui hanno partecipato esponenti politici che poi lo hanno realizzato quel compromesso...». D’Alema e Bertinotti: è di nuovo guerra. In ballo, a quanto si dice, la presidenza della Camera, perché il segretario di Rifondazione conferma una ennesima volta che lui al governo non ci pensa per nulla. E che non intende cedere.
Ma perché, onorevole Bertinotti? In fondo l’offerta di un ministero della Repubblica, sempre che il centrosinistra prevalga, non è mica offensiva...
«L’ho detto addirittura un anno fa, in congresso, che non avrei fatto il ministro, e non intendo ripensarci. Ma le pare che a 66 anni ci s’inventa un nuovo ruolo?».
Prodi però pare continui a sperare in un suo ripensamento. E ieri l’ha definita un duro, ma leale.
«L’intesa raggiunta con lui è fuori discussione, e in essa restano fermi due punti: al governo ci sarà una delegazione di Rifondazione, che spero corposa. Ma io non ne farò parte».
Ma a fare il presidente della Camera, come pure si ipotizza, è invece disponibile?
«Che c’entra con la composizione del governo? Quello è un incarico che si decide di concerto, non è che una maggioranza possa pensare di poterlo affidare a uno dei suoi. Quella è tutta un altra storia».
In attesa di una vittoria delle sinistre, oggi intanto deve digerire una sconfitta. O almeno così pare lei l’abbia ritenuta, commentando il varo di questa nuova direttiva sui servizi in Europa...
«Oggi si è consumata una brutta storia... davvero brutta. Tanto sul terreno dei contenuti di politica economico-sociale che sul terreno della politica tout court. C’è stato un rimaneggiamento della Bolkestein che ha eliminato il veleno più nocivo, il principio del Paese d’origine, ma che ne lascia intatta l’ispirazione mettendo a rischio le tutele contrattuali e l’autonomia degli enti locali sulla scelta dei servizi. Ed è una brutta storia perché i socialisti, che pure hanno preso parte a una manifestazione di massa in contrasto con la filosofia del provvedimento, si sono poi mostrati sostanzialmente prigionieri dei popolari, i quali - per dirne una - sono riusciti a far passare un emendamento per tirare fuori dalla direttiva la sanità, cosa di per sé buona, ma in cui era evidente l’interesse per le cliniche private».
Dal fronte liberale si sostiene che voi abbiate appoggiato i lavoratori ricchi dell’Ovest contro quelli poveri dell’Est, come l’idraulico polacco.
«Abbiamo sostenuto i lavoratori contro i padroni».
Lei naturalmente sa bene che la direttiva dovrà essere esaminata dai governi. E che dunque ci sarà un ministro italiano che dovrà discutere il da farsi a Bruxelles. Teme che il compromesso realizzato qui si ripeta?
«Mi pare francamente difficile che lo si possa realizzare da noi.

Mi riesce difficile credere in un accordo tra Forza Italia e Ds».
Nessun timore, dunque, che da noi si possano vagheggiare nuove formule politiche?
«Io il pericolo di un neo-centrismo in realtà lo vedo. Ma per ora è lontano».

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