Bertinotti: la difesa dei privilegi fa rimanere indietro il Paese

Il presidente della Camera: discutere certe garanzie è necessario per una grande riforma

nostro inviato a Marcinelle (Charleroi)
Tanto vale prendere il toro per le corna. Qui, nel pay noir: Marcinelle, un tiro di schioppo da Charleroi, un Belgio cupo fin nelle case e nel carbone che 150mila italiani hanno tirato fuori dalle viscere della terra, assieme a diseredati di mezza Europa. Sputando sangue, restando risucchiati da dentro, «una salute persa», come dice un reduce di quelle miniere che «starci era peggio di una prigione». Qui nel ’56 la terra ne inghiottì 262, 136 italiani, «eravamo come schiavi, venduti ognuno per dieci chili di carbone...». Qui, nel pay noir che ha chiuso le miniere e che ieri notte ha festeggiato la vittoria italiana al mundial con tanto di drappi alle finestre, il toro va preso per le corna. «Ma si può comparare un taxista con un minatore di Charleroi? A me non pare possibile...».
Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, a Marcinelle ha gioco facile ad affrontare la questione rimettendone in fila gli snodi. «Un governo democratico ha fatto le sue scelte di politica economica e altrettanto democraticamente una componente sociale agisce in conflitto. Il conflitto è sempre legittimo, ma può essere progressivo o regressivo». Come si distingue? «È evidente: quando ad agire in conflitto sono le parti più disagiate, più deboli della società, questo scontro è progressivo. Quando il conflitto è prodotto da chi difende dei privilegi è regressivo». Non si può neppure dimenticare, aggiunge, che «il Paese ha bisogno di una grande riforma e in questo rientra anche la messa in discussione di privilegi consolidati. Non possiamo inventarci ogni ora una gerarchia di valori... Che un governo semplicemente intelligente mantenga un dialogo con le forze che esprimono il conflitto è un elemento fisiologico. Sta alla politica decidere, e il governo fa bene ad aprirsi al confronto...».
Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, ospite delle celebrazioni per il Cinquantenario della tragedia che colpì il lavoro italiano all’estero, è a due passi. Conferma che «è giusto liberalizzare» ed «è giusto il confronto». Però, riflette a voce alta, «si farebbe bene a togliere l’alibi del deprezzamento del valore della licenza, che per i tassisti costituisce il Tfr». La dialettica in seno al popolo, fatalmente incline a vedere soltanto il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, trova l’inattesa sponda in un articolo comparso proprio ieri su Liberazione, a firma dell’ex responsabile Trasporti del partito, Ugo Boghetta. «Perché la protesta è giusta», l’inequivocabile titolo sul mondo dei taxisti in rivolta, nel quale c’è il rischio che «si creino oligopoli». Tesi che non trova impreparato il presidente dei deputati prc, Gennaro Migliore: «Una posizione personale, che ha il pregio di far conoscere la vicenda anche sotto altri aspetti...». La posizione ufficiale di Prc si richiamerà pertanto a quella di Bertinotti, che nelle liberalizzazioni introdotte da Bersani non vede «in che cosa siano liberiste... Trovo che il Paese abbia voglia di una modernizzazione democratica per realizzare la quale è necessario che vengano determinate condizioni di maggiore libertà e confronto della società. Troppe volte ciò è stato usato contro il mondo del lavoro, ma questo non mi pare proprio il caso...».
Che cosa c’entra allora un taxista con un minatore di Charleroi? Vista da questo cuore straziato d’Europa, oggi che le miniere sono chiuse, è più naturale scorgere parallelismi piuttosto con nuove forme di sfruttamento, lavori tipo «i call center dove non c’è il gas esplosivo». «Mai più quest’abisso... Mai più il carbone, una merce, una macchina, valgano più degli uomini...», dice Bertinotti davanti a quei poveri morti del ’56, alla scultura che li ricorda nel museo del Bois du Cazier, ai vecchi italiani e alle nuove generazioni, che da quei sacrifici traggono un relativo benessere.

A essi, una raccomandazione in più, visto che l’Europa di oggi è il Belgio di ieri, e attira genti in cerca di pane: «La dignità del lavoro di tutti sta nella dignità del lavoro di ognuno, non c’è distinzione di razza che tenga...», dice Bertinotti. Da un gruppetto si intona pure Bandiera rossa, ma non è il caso e l’accenno si smorza lì.

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