Bertinotti alla maggioranza: basta decreti legge

Roberto Scafuri

da Roma

Troppi decreti-legge imbavagliano il confronto tra le forze politiche e dunque le rappresentanze sociali, «sale» della democrazia. Limitare la decretazione d’urgenza, restituendo così centralità al Parlamento, è per questo uno dei cavalli di battaglia della presidenza della Camera. Fausto Bertinotti, alle prese con il decreto cosiddetto «milleproroghe», l’ha ribadito ieri pomeriggio nell’aula di Montecitorio, mentre si dibatteva degli ordini del giorno. «È opinione di questa presidenza che l’uso improprio della decretazione d’urgenza sia un problema sul quale dovremmo senz’altro avviare o riprendere, come ci è stato richiesto, una riflessione in sede parlamentare su basi condivise nell’intento di valorizzare le prerogative di quest’assemblea...».
I modi spicci, la «ghigliottina» imposta alla «casa del popolo» (come Bertinotti vuole considerare la Camera), è una possibilità che deve restare confinata ai casi previsti dalla Costituzione: quelli della «necessità e urgenza». Una linea che si delineò già nel discorso d’investitura, con il richiamo alla centralità del Parlamento. Ma il tema, «neo» che accompagna ormai da anni l’attività legislativa, fu anche una delle prime raccomandazioni rivolte a Bertinotti dal nuovo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Addirittura nel loro primo incontro al Quirinale, quando il presidente di Montecitorio si recò a rendere omaggio al nuovo Presidente.
Ieri è stata anche una giornata nella quale si è visto in assemblea un clima di collaborazione tra Unione e Cdl. Sarà perché il «decretone» da convertire riguardava tutta una serie di provvedimenti varati dal governo di centrodestra; sarà perché l’altra sera, di ritorno dal Belgio, Bertinotti è rientrato nel suo studio a Montecitorio, dove aveva convocato il capogruppo dell’Ulivo, Dario Franceschini, quello di Forza Italia, Elio Vito, e il ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti: dall’incontro informale e molto cordiale, si è propiziata una capigruppo mattutina dal clima decisamente più «respirabile» e il pomeriggio di appeasement in aula.
Certo, la risicatezza dei numeri della maggioranza e quella «mancanza di solitudine al governo», come ha ironizzato Bersani a proposito dell’ampiezza delle forze e dei pareri in campo, non aiutano. Finora, complice un lavoro parlamentare ridotto all’osso, il governo ha varato sei decreti. Di essi, tre necessari alla continuità amministrativa (milleproroghe, Irap e salva-maturità); tre legati all’azione del nuovo governo, e forse con urgenza meno esplicita (se non per scongiurare emendamenti, dibattito e divisioni): i cosiddetti decreti sullo spacchettamento, Bersani-Visco e Afghanistan. Il decreto legge resta così uno strumento legittimo, a patto che non se ne abusi. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, condivide il monito e si dichiara «pienamente consapevole» del problema, che il decreto Bersani sulle liberalizzazioni ha reso di stringente attualità.

Eppure, anche in quel caso, il ministro delle Attività produttive ha giustificato l’uso del decreto legge perché «riguarda materie sulle quali da parte dell’Unione Europea era stato già aperto procedimento d’infrazione». Segno che, quasi sempre, quando si vuole trovare una scusa, la si trova. Come già dimostrato da Esopo, oltre duemila anni fa.

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