Bettini: io, Veltroni e Rutelli I veri pensieri del vice di Walter

La «traduzione» giocata della lettera a Repubblica del vice del Pd: «Ho fatto da balia a entrambi. Se a Roma mi fossi candidato io, avremmo vinto»

Il Partito Democratico continua a implodere, sugli strascichi della sconfitta romana. Francesco Rutelli contro i Ds, che accusa della sconfitta dopo il disastroso ballottaggio, i dalemiani contro Veltroni indicato come responsabile, e poi persino Goffredo Bettini contro Rutelli (ma con una battuta al vetriolo contro Veltroni). Il numero due del Pd ha scritto una lettera a La Repubblica che merita di essere tradotta alla maniera del «Cuore di Michele Serra: Parla come mangi».
«Caro direttore, un passaggio sulla candidatura di Rutelli a Roma, in un mio discorso, viene legittimamente riportato con evidenza dai giornali, con il rischio per me di lanciare un messaggio lontano da ciò che penso realmente». Caro direttore, ho detto che a Roma si è perso anche per la candidatura di Rutelli. È vero. Ma voi lo avete scritto, e lui ovviamente si è incazzato. Mi vedo dunque costretto, come si dice a Roma, a buttarla un po' in caciara. «Rutelli è stato chiamato dalla coalizione, e in particolare dal Pd, per guidare una battaglia che tutti sapevano molto complessa. Non è stato facile convincerlo. Non è stato facile convincerlo perché soprattutto ai suoi occhi, era chiaro il pericolo e l'insidia di un ritorno ad una esperienza da egli già fatta per tanti anni. Infine ha accettato e combattuto, con estrema generosità, umiltà, e convinzione. Di questo gli sono grato, insieme a tutti i democratici romani». A dire il vero, più di un pensierino alla poltrona di sindaco ce l'avevo fatto pure io. Però poi non si sapeva dove collocare Rutelli, e abbiamo dovuto infilarlo lì. «La sconfitta subita ha molte ragioni. Ho cercato, in varie occasioni, di analizzarne alcune. Dopo 15 anni di potere, le nostre forze sono risultate appagate e sedute, rispetto alla voglia di vincere dei nostri avversari, e alla fisiologica tendenza a cambiare dell'elettorato». Alla mostra del cinema come auto blu mi ero preso un Suv, era bellissimo. Ce la siamo spassata per 15 anni. «L'impegno nazionale a cui tutti abbiamo chiamato Veltroni, sindaco popolarissimo e molto presente nella vita amministrativa, ha pesato non poco negli ultimi mesi del nostro rapporto con la città». Quando Veltroni si era candidato ho detto persino che era come Chirac. Lo so, una balla. Veltroni è scomparso da Roma, e l'abbiamo pagata cara. «Inoltre, l'ondata politica di destra, ha investito pienamente anche Roma, città sensibilissima agli orientamenti più generali». Chi l'avrebbe mai detto che Alemanno ci fregava? «Infine Rutelli che (lo ripeterò all'infinito) è stato un grandissimo sindaco, il fondatore del ciclo riformista romano, non è riuscito, in così poco tempo, a far riemergere il suo profilo civico, prevalendo così quello politico: di un leader che si è esposto in battaglie dure ed inevitabilmente di parte. Questo ha reso più problematico il consenso alla sua candidatura». La candidatura di Rutelli nel 1993 aveva avuto il grande merito di essere supportata da me: ed io chiamo questo il grande ciclo riformista romano. Poi ha fatto anche da solo, un disastro, ma io non c'entro nulla. «Si potrebbe aggiungere (e dio sa quanto carico mi sono fatto della sconfitta) che un ciclo politico, anche il mio, si è chiuso a Roma». Mica l'avevamo capito che la gente non ci poteva più vedere. «Un modello ed una strategia da reinventare. Con dirigenti più giovani nuovi e responsabilizzati pienamente». Ora mi piacerebbe mettere in campo Morassut, che è un mio pupillo.

«Ma questo non significa svalutare gli anni fantastici del riformismo romano di cui anche io e Rutelli siamo stati protagonisti insieme». Ho fatto da balia a Rutelli, a Veltroni, poi di nuovo a Rutelli: sai che palle! Se fossi stato candidato io, avremmo vinto di certo.

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