BIENNALE DI VENEZIA

Il lavoro fotografico dell’artista tedesco Thomas Demand propone luoghi all’apparenza anonimi e tranquilli, ma che sono una «trappola» per chi li osserva. Uffici, librerie, spazi domestici, nascondono realtà controverse: l’ufficio può essere il bunker di Hitler, la cucina il teatro di orribili delitti, un aspetto nascosto, quasi diabolico, che si evidenzia a un’analisi più accurata. E le foto, troppo perfette per essere vere, sono quelle del modello dei luoghi che l’artista ha ricostruito in cartone. La meticolosità del lavoro produce un effetto iperreale e ipnotico, solo allora ci si accorge di essere in trappola, in una diversa definizione di realtà. In occasione della mostra prodotta dalla Fondazione Prada alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, Demand ci porta più in là nel suo mondo e sorprende con due grandi installazioni: Yellowcake e Processo grottesco.
Yellowcake riassume in statiche foto eventi dalle conseguenze disastrose. Durante un furto all’Ambasciata del Niger a Roma vengono scoperti documenti, rivelatisi poi costruiti dai servizi segreti, sull’acquisto da parte di Saddam Hussein di uranio in Africa. Le carte hanno offerto a Bush l’occasione per sostenere che Saddam era pronto a fabbricare armi nucleari con l’uranio arricchito, il famigerato «Yellowcake». Demand è riuscito dove i giornalisti non avevano avuto successo: ha avuto accesso all’ambasciata, ha parlato con il personale, e ha mentalmente fotografato quei posti di cui non esistevano immagini. Le informazioni raccolte e tradotte in fotografie dei luoghi a grandezza naturale sono l’unica possibilità di una rappresentazione visiva per il «Nigergate».
Con Processo grottesco Demand ci costringe a una capriola mentale e ci immerge in una porzione della sua oscurità, ci offre il buio in cui lavora. Tre stanze, la prima con la grande foto di una grotta, stalattiti e stalagmiti da tradizione; nella seconda, bacheche con decine di cartoline disposte in un ordine maniacale, modellini di stratificazioni, materiali di ogni tipo. La sorpresa è la terza stanza: siamo davanti al modello, in grandezza quasi naturale, del Grotto, riproduzione di una grotta di Majorca. È la prima volta che l’artista permette a occhi indiscreti di seguire da vicino il procedere del suo lavoro.
«Ho scelto la grotta - spiega - perché è un fantasma, uno spazio cieco, struttura complessa e allo stesso tempo inutile, un affascinante superfluo, “grottesco” viene da lì. Volevo ricostruire questo strano gesto della natura, ho pensato che fosse interessante una grotta creata dall’uomo». Il fattore tecnico è interessante: un anno di lavoro sui computer per comporre 900mila pezzi, 35 tonnellate di cartone. Continua l’artista: «Da una parte hai la grotta, lì prima dell’arrivo dell’uomo, dall’altra parte tecniche digitali supersofisticate. Tutti sanno cos’è una grotta, anche chi non ci è mai stato, esiste un’idea “totale” della grotta, questo è già una foto, la mia idea era di tradurre la foto in realtà. Non so se svelare questa parte del mio lavoro mi porterà altrove, non so mai cosa farò domani. In ogni caso faccio vedere qualcosa di nuovo, una chance che non tornerà».
Chiosa Germano Celant, curatore della mostra: «La tradizione della Fondazione Prada è permettere agli artisti di “fare un salto”.

Qui Demand ritorna alla scultura, da dove era partito all’inizio della carriera negli anni ’90, quindi vedo la potenzialità di tornare a un sistema parallelo scultura-fotografia».

LA MOSTRA
«Thomas Demand». Fondazione Prada alla Fondazione Giorgio Cini, Isola San Giorgio Maggiore, Venezia. Fino al 7 luglio. Orari: da martedì a domenica, 11-19. Info: 0254570981.

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